venerdì 27 giugno 2008

ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE DELLA NORMA CHE SOSPENDE I PROCESSI PENALI PER LE ALTE CARICHE DELLO STATO

Sul sito del Governo italiano oggi compare il seguente testo:


"Il Consiglio ha poi approvato i seguenti provvedimenti:



su proposta del Ministro della giustizia, Angelino Alfano:


- un disegno di legge che sospende i processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato (specificatamente il Presidente della Repubblica, i Presidenti del Senato e della Camera dei deputati, il Presidente del Consiglio dei Ministri); con l’obiettivo di tutelare l’esigenza assoluta della continuità e regolarità dell’esercizio delle più alte funzioni pubbliche, il provvedimento rispetta il pieno bilanciamento delle garanzie costituzionali in materia penale, in coerenza con quanto delineato nella sentenza n. 24 del 2004 della Corte Costituzionale. Per conseguire il sereno svolgimento delle funzioni che fanno capo alle più alte cariche dello Stato, la sospensione opera anche per i fatti commessi anteriormente alla durata dell’incarico, è rinunciabile e non reiterabile, riguarda solo i processi e non anche le indagini preliminari, si applica ai reati extrafunzionali, non pregiudica gli effetti civili. Inoltre, in caso di sospensione del processo, il provvedimento prevede che sia sospeso anche il corso della prescrizione dei reati in esso contestati e che il giudice, qualora ne ricorrano i presupposti, possa acquisire le prove urgenti e non rinviabili".


Così, per rispolverare i miei ricordi sulla citata sentenza n. 24 del 2004 della Corte Costituzionale, decido di andare a rileggerla e trovo conferma del fatto che la stessa aveva dichiarato costituzionalmente illegittima la seguente norma: non possono essere sottoposti a processi penali, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime: il Presidente della Repubblica, salvo quanto previsto dall'articolo 90 della Costituzione, il Presidente del Senato della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati, il Presidente del Consiglio dei ministri, salvo quanto previsto dall'articolo 96 della Costituzione, il Presidente della Corte costituzionale; dalla data di entrata in vigore della presente legge sono sospesi, nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 e salvo quanto previsto dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, per qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione, fino alla cessazione delle medesime (art. 1 commi 1 e 2 Legge 20 giugno 2003, n. 140).


Ora chiunque può trarre le proprie conclusioni.


Io mi permetto soltanto di sottolineare ancora una volta il dettato dell'art 3 della nostra Costituzione (posto a fondamento dalla stessa Corte Costituzionale per dichiarare costituzionalmente illegittima una norma che impedisca l'azione penale nei confronti delle alte cariche dello stato):


"tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.


È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

lunedì 23 giugno 2008

IL COMUNE E' CIVILMENTE RESPONSABILE QUALORA UN PASSANTE INCIAMPI A CAUSA DI UN DIFETTO DEL MARCIAPIEDE

Significativa sentenza della Corte di Cassazione in tema di responsabilità oggettiva: il Comune di Roma è stato ritenuto responsabile del danno occorso a un passante il quale, non rendendosi conto, per la scarsa illuminazione, di un avvallamento presente su di un marciapiede e dovuto a un difetto costruttivo, è inciampato, procurandosi una frattura al piede.


L'articolo 2051 del codice civile prevede che "ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito". La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, a norma dell'art. 2051 c.c., può essere esclusa solo se si provi il caso fortuito, consistente in un evento imprevedibile ed eccezionale.


Nel caso in questione la Suprema Corte ha stabilito che "la responsabilità per i danni provocati da cose in custodia, di cui all'art. 2051 cod. civ., trova applicazione anche in relazione ai beni demaniali. Essendo tuttavia detti beni particolarmente esposti a fattori di rischio non prevedibili e non controllabili dal custode, perché determinati dai comportamenti del pubblico indiscriminato degli utenti - che il custode non può escludere dall'uso del bene e di cui solo entro certi limiti può sorvegliare le azioni - il caso fortuito idoneo ad esimere da responsabilità il custode di beni demaniali va individuato in base a criteri più ampi ed elastici di quelli che valgono per i beni privati. Esso va individuato, in particolare, nei casi in cui la causa elle ha provocato il danno non sia strutturale e intrinseca al modo di essere del bene, ma sia derivata da comportamenti estemporanei di terzi, non immediatamente conoscibili o eliminabili dal custode, neppure con la più diligente attività di manutenzione. Il difetto costruttivo del piano stradale, consistente in un rilevante dislivello fra le lastre di copertura, è da ritenere causa strutturale, quindi fonte di responsabilità ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. , ove abbia in concreto creato inciampo e provocato la caduta di un passante".


 


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE


SEZIONE III CIVILE


Sentenza 23 aprile - 6 giugno 2008, n. 15042



(Presidente Vittoria - Relatore Lanzillo)





Svolgimento del processo





Con atto di citazione, notificato il 28.1.1999, C.B. ha convenuto davanti al giudice di pace il Comune di Roma, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni conseguenti ad una caduta occorsale il *****, verso le ore 20, mentre camminava lungo la via *****. A causa della scarsa illuminazione, non si era avveduta di una sconnessione fra le lastre in travertino di copertura del marciapiede; vi aveva inciampato ed era caduta a terra, riportando la lesione del V metatarso del piede sinistro. Il danno è stato quantificato in Euro 2.582,28.

Il Comune ha resistito alla domanda, contestando ogni responsabilità e chiedendo di chiamare in causa la s.r.l. Ediltecnica, che gestiva in appalto la manutenzione della strada. L'Ediltecnica è stata effettivamente citata ed è rimasta contumace.

Con sentenza n. 950 del 2001 il giudice di pace ha respinto la domanda attrice ed ha compensato fra le parti le spese di causa.

Proposto appello dalla B., il Comune di Roma si è costituito, proponendo appello incidentale condizionato nei confronti della Ediltecnica. Quest'ultima ha resistito alla domanda. chiedendo di essere estromessa dal giudizio ed, in subordine, di essere rimessa in termini per poter produrre documenti e chiamare in garanzia il suo assicuratore.

Con sentenza 17-19 maggio 2004 n. 15909 il Tribunale di Roma ha respinto l'appello principale, condannando l'appellante al pagamento delle spese del grado in favore Comune di Roma.

Con atto notificato il 17.12.2004 la B. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza, notificatale il 19.10.2004, affidandone l'accoglimento a tre motivi.

Resistono con separati controricorsi il Comune di Roma e la s.r.l. Ediltecnica, ognuno dei quali propone ricorso incidentale condizionato.

Il Comune di Roma ha depositato memoria.





Motivi della decisione





Va preliminarmente disposta la riunione dei tre ricorsi (art. 335 cod. proc. civ.).

1.- La Corte di appello ha escluso la responsabilità del Comune ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., con la motivazione che la norma non è applicabile ai beni demaniali, qualora la loro estensione territoriale sia tale da non consentire una vigilanza ed un controllo idonei ad evitare l'insorgere di situazioni di pericolo; che poteva configurarsi una responsabilità del Comune solo ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., ma che nella specie non ne ricorrevano i presupposti., in quanto la sconnessione della copertura del marciapiede - trovandosi proprio davanti alla casa della danneggiata - avrebbe dovuto essere ben nota alla stessa, sì che non costituiva un'insidia.

2.- Con il primo motivo - deducendo violazione dell'art. 2051 e illogica, contraddittoria e insufficiente motivazione - la ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia escluso l'applicabilità dell'art. 2051 cod. civ. in termini apodittici, senza accertare se ricorressero le condizioni a cui la giurisprudenza subordina il venir meno della responsabilità per custodia, in relazione ai beni demaniali: senza accertare, in particolare, se il marciapiede in oggetto, per la sua collocazione ed estensione, fosse effettivamente non suscettibile di continuo e completo controllo ad opera dell'ente proprietario, sì da prevenire incidenti quale quello verificatosi. Assume il ricorrente che si tratta di strada situata in centro abitato, che il Comune ben poteva sorvegliare e mantenere in buone condizioni: di ciò il Comune stesso era ben consapevole, avendo affidato ad apposita impresa, cioè alla s.r.l. Ediltecnica, l'incarico della manutenzione.

3 . - Con il secondo motivo - deducendo violazione dell'art. 2043 cod. civ., nonché omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia - la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che la situazione oggettiva del marciapiede non configurava un'insidia, imprevedibile e inevitabile dall'utente.

Assume che l'anomalo dislivello del piano stradale manifesta un difetto di manutenzione che di per sé costituisce colpa e che, a fronte di tali specifiche manifestazioni di incuria non occorre la dimostrazione di ulteriori negligenze al fine di addebitare la responsabilità all'ente tenuto alla manutenzione.

4 . - Con il terzo motivo la ricorrente denuncia omessa o insufficiente motivazione sulle circostanze relative ai fatti di causa, per avere la sentenza impugnata trascurato di considerare le circostanze emerse dall'istruttoria che dimostrano la responsabilità del Comune, quali quella - ammessa anche dal Tribunale, nella sentenza di primo grado - che la zona era poco illuminata, che altre persone camminavano davanti alla B. , impedendole di vedere la strada, restando irrilevante il fatto che l'anomalia della superficie stradale si trovasse in corrispondenza dell'abitazione della danneggiata.

5.- I tre motivi - che possono essere congiuntamente esaminati, perché connessi - sono fondati, nei termini che seguono.

5.1.- Appare in termini, in primo luogo, la censura della ricorrente circa l'assenza di motivazione sulle obiettive condizioni del luogo ove si è verificato l'incidente.

Il giudice di appello ha effettivamente escluso in modo aprioristico l'applicabilità dell'art. 2051 cod. civ. ai beni demaniali, laddove la giurisprudenza ha chiarito che occorre valutare caso per caso se - in relazione all'estensione territoriale e alle modalità d'uso del bene - sia o meno possibile un continuo ed efficace controllo, ad opera dell'ente pubblico, idoneo ad impedire l'insorgere di cause di pericolo per gli utenti. (Cfr., Cass. civ. 27 dicembre 1995 n. 13114; Casso civ. Sez. Un. 5 settembre 1997 n. 8588, con in-terpretazione avallata da Corte cost. 10 maggio 1999 n. 156; Casso civ., Sez. 3, 23 luglio 2003 n. 11446, in un caso simile a quello di specie, di caduta di una passante, sulla strada centrale di una città; Casso civ., Sez. 3. 5 agosto 2005 n. 16576; Casso civ., Sez. 3, 26 novembre 2007 n. 24617).

Si è specificato, altresì, che l'onere di fornire la prova delle circostanze che escludono la responsabilità ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. è a carico dell'amministrazione interessata, gravando sul danneggiato solo l'onere di dimostrare il nesso causale fra la situazione del bene ed il verificarsi del danno (Cass. civ., Sez. 3, 1 ottobre 2004 n. 19653).

I suddetti principi esprimono, nella sostanza, i peculiari criteri di imputazione della responsabilità per danno da cose in custodia, che debbono essere adottati in relazione ai beni demaniali.

Ed invero, il custode di beni privati risponde og-gettivamente dei danni provocati dal modo di essere e di operare del bene, sia in virtù del tradizionale principio "cuius commoda eius incommoda" (per cui chi utilizzi la cosa nel proprio interesse è tenuto anche a sopportarne i rischi); sia anche in considerazione del fatto che il privato ha il potere di escludere i terzi dall'uso del bene, e così di circoscrivere i possibili rischi di danni provenienti dai comportamenti altrui.

Per contro, il custode del bene demaniale destinato all'uso pubblico è esposto a fattori di rischio molteplici, imprevedibili e potenzialmente indeterminati, a causa dei comportamenti più o meno civili, corretti e avveduti degli innumerevoli utilizzatori, che egli non può escludere dall'uso del bene e di cui solo entro certi limiti può sorvegliare le azioni.

La responsabilità oggettiva di cui all'art. 2051 cod. civ. - pur in linea di principio innegabile - presenta pertanto un problema di delimitazione dei rischi di cui far carico all'ente gestore e "custode", la cui soluzione va ricercata in principi non sempre coincidenti con quelli che valgono per i privati.

Le peculiarità vanno individuate non solo e non tanto nell'estensione territoriale del bene e nelle concrete possibilità di vigilanza su si esso e sul comportamento degli utenti, di cui alle citate massime giurisprudenziali, quanto piuttosto nella natura e nella tipologia delle cause che abbiano provocato il danno: secondo che esse siano intrinseche alla struttura del bene, sì da costituire fattori di rischio conosciuti o conoscibili a priori dal custode (quali, in materia di strade, l'usura o il dissesto del fondo stradale, la presenza di buche, la segnaletica contraddittoria o ingannevole, ecc.) , o che si tratti invece di situazioni di pericolo estemporaneamente create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione (perdita d'olio ad opera del veicolo di passaggio; abbandono di vetri rotti, ferri arrugginiti, rifiuti tossici od altri agenti offensivi).

Nel primo caso è agevole individuare la responsabilità ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., essendo il custode sicuramente obbligato a controllare lo stato della cosa e a mantenerla in condizioni ottimali di efficienza.

Nel secondo caso l'emergere dell'agente dannoso può considerarsi fortuito, quanto meno finché non sia trascorso il tempo ragionevolmente sufficiente perché l'ente gestore acquisisca conoscenza del pericolo venutosi a creare e possa intervenire ad eliminarlo.

I principi giurisprudenziali enunciati in precedenza stanno ad indicare, per l'appunto, la necessità di addossare al custode solo i rischi di cui egli possa essere chiamato a rispondere - tenuto conto della natura del bene e della causa del danno - sulla base dei doveri di sorveglianza e di manutenzione razionalmente esigibili, con riferimento a criteri di corretta e diligente gestione.

Sotto il profilo sistematico la suddetta selezione dei. rischi va compiuta - più che delimitando in astratto l'applicabilità dell'art. 2051 cod. civ. in relazione al carattere demaniale del bene - tramite una più ampia ed elastica applicazione della nozione di caso fortuito.

Con riguardo ai beni demaniali, cioè, si presenterà presumibilmente più spesso l'occasione di qualificare come fortuito il fattore di pericolo creato occasionalmente da terzi, che abbia esplicato le sue potenzialità offensive prima che fosse ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore dell'ente custode.

L'impostazione risulta in linea, fra l'altro, con il principio giurisprudenziale sopra richiamato, per cui l'onere di fornire la prova delle circostanze idonee ad esimere dalla responsabilità di cui all'art. 2051 cod. civ. grava sul l'ente pubblico (Cass. civ., Sez. 3, 1 ottobre 2004 n. 19653). Tale infatti è il principio in vigore con riguardo alla prova del caso fortuito.

Nel caso di specie, la causa dell'incidente occorso alla B. è indubbiamente ravvisabile in un difetto strutturale della strada di proprietà del Comune di Roma - consistente nel disassamento del fondo stradale difetto integrante un vizio costruttivo, indipendente dalle altrui modalità di uso, di cui l'ente territoriale non poteva ignorare l'esistenza e che avrebbe dovuto eliminare.

In virtù dei principi enunciati, pertanto, la Corte di appello avrebbe dovuto applicare l'art. 2051 cod. civ., essendo incontestato in fatto che la B. sia caduta proprio per avere inciampato contro il dislivello del piano stradale.

Né il giudice di appello ha dedotto - a fondamento della sentenza di assoluzione - la circostanza che il difetto fosse impercettibile, o comunque lieve, o comunque tale da non giustificare il prodursi dell'evento se non in presenza di una colposa disattenzione della stessa danneggiata.

5.2.- Ogni altra censura della ricorrente è da ritenere assorbita.

6.- Con l'unico motivo del ricorso incidentale condizionato il Comune di Roma ripropone in questa sede la sua domanda di manleva nei confronti della s.r.l. Ediltecnica.

La censura è inammissibile, trattandosi di questione non esaminata e non decisa in appello, perché ritenuta assorbita a seguito del rigetto delle domande risarcitorie della B. .

Non vi è quindi pronuncia del giudice di appello, di cui questa Corte possa essere chiamata a valutare la legittimità.

7.- Per le stesse ragioni va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale condizionato della Ediltecnica, che pure ripropone una questione (nullità dell'atto di chiamata in causa in primo grado della stessa Ediltecnical, su cui il Tribunale ha ritenuto superfluo pronunciare, essendo state respinte le domande proposte dalla B. contro il Comune.

Le parti interessate potranno far valere davanti al giudice di rinvio tutte le domande ed eccezioni a suo tempo proposte in appello.

8.- In accoglimento del ricorso principale, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa al Tribunale di Roma, in diversa composizione, affinché decida la controversia uniformandosi ai seguenti principi di diritto:

"La responsabilità per i danni provocati da cose in custodia, di cui all'art. 2051 cod. civ., trova applicazione anche in relazione ai beni demaniali.

Essendo tuttavia detti beni particolarmente esposti a fattori di rischio non prevedibili e non controllabili dal custode, perché determinati dai comportamenti del pubblico indiscriminato degli utenti - che il custode non può escludere dall'uso del bene e di cui solo entro certi limiti può sorvegliare le azioni - il caso fortuito idoneo ad esimere da responsabilità il custode di beni demaniali va individuato in base a criteri più ampi ed elastici di quelli che valgono per i beni privati.

Esso va individuato, in particolare, nei casi in cui la causa elle ha provocato il danno non sia strutturale e intrinseca al modo di essere del bene, ma sia derivata da comportamenti estemporanei di terzi, non immediatamente conoscibili o eliminabili dal custode, neppure con la più diligente attività di manutenzione.

Il difetto costruttivo del piano stradale, consistente in un rilevante dislivello fra le lastre di copertura, è da ritenere causa strutturale, quindi fonte di responsabilità ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. , ove abbia in concreto creato inciampo e provocato la caduta di un passante".

"Anche nei casi in oggetto, la prova delle circostanze idonee ad esimere da responsabilità, quali caso fortuito, deve essere fornita dal custode del bene demaniale, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ.".



P.Q.M.


La Corte di cassazione, riuniti i ricorsi, accoglie il principale dichiara inammissibili i ricorsi incidentali condizionati. Cassa e rinvia al Tribunale di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

PASSAPAROLA










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venerdì 20 giugno 2008

PASSI IN AVANTI VERSO L'INFORMATIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA

A Lucca nasce la prima "cancelleria telematica" d'Italia. D'ora in avanti ai colleghi del foro Lucchese basterà collegarsi dal pc del proprio ufficio per vedere con pochi clic tutto ciò che fino ad ora si poteva consultare solo recandosi presso gli uffici di cancelleria. Il tutto è frutto di un accordo che vede protagonista la Regione Toscana, con la sua infrastruttura telematica RTRT (rete telematica regionale Toscana) il Ministero della Giustizia e il Cnipa, il centro nazionale per l’informatizzazione nella pubblica amministrazione.  Spero vivamente che iniziative di questo genere si moltiplichino: meno carta, meno disordine, più efficienza e più speditezza dei processi.

TRAVAGLIO AD ASTI - IL CASO PARMALAT


Segnalo questo interessante quanto divertente (non certo per i risparmiatori truffati) video-intervento di Marco Travaglio riguardante il crack finanziario della Parmalat, proprio mentre la finanza americana è sconvolta dai primi arresti relativi alla crisi dei mutui subprime.


A un anno dallo scoppio del terremoto dei mutui subprime - prestiti immobiliari a clienti con basso merito creditizio - e dei titoli obbligazionari ad essi associati, costato miliardi di dollari di perdite alle banche di Wall Street e a tutto il settore del credito in America, le autorità cominciano ad individuare dei colpevoli e scattano le prime manette.


Il Federal Bureau of Investigation - la polizia federale statunitense - ha reso noto di aver operato da marzo a oggi oltre 400 arresti di persone nel settore immobiliare accusate di frode e altri comportamenti illeciti.


Ieri, due ex manager di Bear Stearns, vittima recente della crisi, sono stati arrestati a New York per associazione a delinquere e frode in un procedimento relativo al collasso dei due fondi che gestivano per un valore di 1,4 miliardi di dollari.



Ralph Cioffi, 52, e Matthew Tannin, 46, che si sono dichiarati innocenti, sono accusati di aver truffato gli investitori mentendo sui prospetti dei fondi nonostante i timori sulla liquidità e le prospettive del mercato.


 

giovedì 19 giugno 2008

ARTICOLO 3 DELLA COSTITUZIONE

In merito alla presunta volontà da parte del Parlamento Italiano di approvare una norma che impedisca il normale svolgimento dei processi penali nei confronti delle più alte cariche dello Stato, intendo evidenziare come l'articolo 3 della Costituzione Repubblicana esplicitamente reciti così:



"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.


È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".


Evidentemente, una norma che prevedesse di trattare in maniera diversa un cittadino (fra l'altro privilegiato,come può esserlo un Presidente del Consiglio o un Presidente della Repubblica) rispetto a tutti gli altri sarebbe palesemente in contrasto con questo principio. La Costituzione impone alla Repubblica il compito di rimuovere le disuguaglianze e non di crearne delle nuove. Pare chiaro che la "Casta" intenda sempre più affermare la propria leadership: se accadesse in altri Stati potremmo tranquillamente parlare di colpo di Stato. Ma qui non si sentono le levate di scudi che vorrei: c'è un silenzio assordante.


I politici non dovrebbero neppure essere coinvolti in processi penali: questo è il punto! Un politico dovrebbe essere limpido come l'acqua! Proprio per il ruolo che svolge dovrebbe essere al di sopra di ogni sospetto e nel momento in cui solo si ipotizzasse un suo coinvolgimento in una vicenda illecita dovrebbe avere il buonsenso di dimettersi.


Invece in Italia il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi scrive al Presidente del Senato Schifani e dice che vi sono nei suoi confronti molti fantasiosi processi che magistrati di estrema sinistra hanno intentato per fini di lotta politica.


Quale altro cittadino può permettersi di far sapere a tutto il paese che i procedimenti a proprio carico sono fantasiosi? C'è già, è già fra di noi una giustizia di serie A e una giustizia di serie B.


Nel frattempo il Senato nella giornata di ieri ha approvato una norma con la quale ha sospeso i processi riguardanti i reati commessi fino al 2002 e comportanti una pena fino a dieci anni. Proprio in ragione di ciò il nostro Primo Ministro non dovrà più comparire sul banco degli imputati per un processo che lo riguarda. Fantastico!


Nel frattempo, poi, la politica discute della volontà di limitare al massimo l'utilizzo delle intercettazioni telefoniche all'interno dei processi: non perchè ai politici interessi realmente della privacy del signor Mario Rossi ma perchè troppe volte negli ultimi tempi sono stati scoperti, proprio loro, con le mani nella marmellata. E pazienza se senza intercettazioni non si scopriranno più scandali assurdi come quello della Clinica Santa Rita di Milano (solo l'ultimo di una lunga serie). Pazienza, soprattutto, se tali strumenti non potranno più essere utilizzati nelle indagini riguardanti reati gravissimi. L'importante è che la Casta rimanga protetta e che nessuno possa di nuovo mettere il Re a nudo (citando il lodevole magistrato Clementina Forleo). Alla faccia del Decreto sicurezza!


La Giustizia in Italia muore e la gente rimane fregata: vi invito al proposito a guardare la video intervista rilasciata al Corriere della Sera dai magistrati Tinti e Magrone.

venerdì 13 giugno 2008

CONSULENTI PUBBLICI: ELENCO DEI COMPENSI

Mi sembra doveroso linkare l'indirizzo del Ministero della Funzione Pubblica che ha messo in rete e pubblicato l'elenco degli incarichi esterni conferiti e pagati nel 2006 da parte delle amministrazioni pubbliche. Il loro numero è spaventoso: 251.921!!! Con un costo di un miliardo 323 milioni 557.591 euro!!!

mercoledì 11 giugno 2008

COMODATO: UN'INTERESSANTE SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Segnalo questa sentenza della Corte di Cassazione molto interessante. Il tema è quello del comodato.


Come dice la Cassazione, il comodato è "definito legislativamente all'art. 1803 cod. civ. come il contratto, essenzialmente gratuito, col quale una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Sulla base di questa definizione, la dottrina ha posto in evidenza tre fondamentali requisiti del comodato: la realtà, l'unilateralità, la gratuità".


Oggetto del rapporto di comodato può ben essere anche la concessione gratuita di un'abitazione per lungo tempo o finché viva il concessionario (Cass. n. 1384 del 1957; n. 1018 del 1976; n. 511 del 1978; n. 3834 del 1980; n. 11620 del 1990; n. 9909 del 1998). La concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario è un contratto a termine, di cui è certo l'an ed incerto il quantum.


Nella presente sentenza la Suprema Corte ha stabilito che "è configurabile il comodato di una casa per consentire al comodatario di alloggiarvi per tutta la vita senza che perciò debba ravvisarsi un contratto costitutivo di un diritto di abitazione, con conseguente necessità di forma scritta ad substantiam; l'onere della forma scritta nei contratti previsto dall'art. 1350 c.c. non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale, il quale può essere provato per testi e per presunzioni".



SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE


SEZIONE III CIVILE


Sentenza 11 marzo – 3 aprile 2008, n. 8548


(Presidente Vittoria – Relatore Segreto)


Svolgimento del processo


Con citazione notificata il 14.12.1998 N. M., G. M. e F. R. proponevano appello davanti al tribunale di Latina avverso la sentenza n. 68/1998, con cui il pretore di Fondi aveva rigettato la domanda di rilascio di un appartamento sito in Fondi, avanzata dagli appellanti nei confronti della rispettiva zia e cognata P. M..


Il Tribunale, con sentenza depositata il 29.7.2003, in riforma dell'appellata sentenza, accoglieva la domanda e condannava P. M. al rilascio in favore degli appellanti dell'appartamento in questione.


Riteneva il Tribunale che, con la scrittura privata intervenuta tra i fratelli V., D. e B. M. (quest'ultimo dante causa degli attori), in data 1.12.1968, con la quale essi dividevano un bene comune, i predetti disponevano che la madre e la sorella (finché nubile) avevano il diritto di abitazione "vita natural durante" in due stanze e contiguo bagno; che tanto integrava una donazione del diritto reale di abitazione e, quindi, nulla per difetto di forma, mancando l'atto pubblico, con la presenza di testi.


Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione M. P., che ha anche presentato memoria. Resistono con controricorso M. N., M. G. e R. F..


Motivi della decisione


1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che il giudice di appello ha omesso di motivare in merito alla prospettazione del contratto in questione come di comodato per l'intera vita della comodataria, pur sollevata nella fase di merito.


2. Con secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la falsa applicazione degli artt. 1803 e segg. c.c..


Secondo la ricorrente nella fattispecie non si trattava di una donazione del diritto di abitazione, bensì del comodato dell'appartamento perché esso fosse adibito ad abitazione per tutta la vita della comodataria, con la conseguenza che non era necessaria la forma scritta e che gli eredi del comodante dovevano rispettare il termine di scadenza del comodato, costituito dalla fine della vita della comodataria.


3.1. I due suddetti motivi, essendo strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati.


Invero, il contratto di comodato è definito legislativamente all'art. 1803 cod. civ. come il contratto, essenzialmente gratuito, col quale una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Sulla base di questa definizione, la dottrina ha posto in evidenza tre fondamentali requisiti del comodato: la realtà, l'unilateralità, la gratuità.


È dato rilevare che, nel caso di specie, sussistono certamente i primi due requisiti, atteso che non è stato contestato che vi fu la consegna dell'appartamento dal comodante alla comodataria. Per quanto attiene al requisito dell'unilateralità, è pacifico che la comodataria soltanto abbia assunto gli obblighi di custodire e conservare (art. 1804 c.c.), nonché di restituire (art. 1809 c.c.) l'appartamento consegnatole al termine della durata del contratto, che, nel caso di specie, ha la particolarità di avere la durata stessa della vita della beneficiaria.


3.2. Quanto alla gratuità, pacifica nella fattispecie, va solo precisato che il negozio gratuito non necessariamente nasconde un atto di liberalità.


Invero, come altre volte ritenuto da questa Corte, oggetto del rapporto di comodato può ben essere anche la concessione gratuita di un'abitazione per lungo tempo o finché viva il concessionario (Cass. n. 1384 del 1957; n. 1018 del 1976; n. 511 del 1978; n. 3834 del 1980; n. 11620 del 1990; n. 9909 del 1998). La concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario è un contratto a termine, di cui è certo l'an ed incerto il quando.


Nell'ipotesi di comodato a termine - anche se di lunga durata -stante la natura obbligatoria del contratto, gli eredi del comodante sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto in pendenza del quale si sia verificata la morte del comodante (v. in tal senso, con riferimento ad ipotesi di comodato destinato a protrarsi per tutta la durata della vita del comodatario, Cass. 3/11/2004, n. 21059; Cass. 17 giugno 1980, n. 3834 e Cass. 4 dicembre 1990, n. 11620, e, con riferimento ad ipotesi di comodato comunque a termine, Cass. 12 settembre 1968, n. 2927; Cass. 10 aprile 1970, n. 986; Cass. 20 marzo 1976, n. 1018; Cass. 17 giugno 1980, n. 3834).


Questo orientamento, che trova consenso nella prevalente dottrina, è da condividere, con la precisazione che gli eredi del comodante hanno pur sempre diritto - come lo aveva il comodante - di recedere dal contratto nelle ipotesi contemplate negli artt. 1804, comma terzo, 1811 e 1809, comma secondo, del codice civile. Non possono considerasi contrarie a questo orientamento nonostante la formulazione della massima ed un inciso peraltro non decisivo nell'economia della decisione - Cass. 19 aprile 1991, n. 4258, che è stata emessa in una causa nella quale si discuteva di un comodato precario e, quindi, senza fissazione di un termine, con riferimento al quale gli eredi - così come del resto il comodante - possono recedere dal contratto in ogni momento; né Cass. 24 settembre 1979, n. 4920, anch'essa resa in una causa avente ad oggetto un comodato precario; né, infine, Cass. 17 dicembre 1993, n. 12505, che si limita a richiamare le sentenze n. 4258 del 1991 e n. 4920 del 1979, soltanto al fine di ritenerle inapplicabili alla fattispecie esaminata.


Completamente priva di base normativa è la tesi dei resistenti, secondo cui, fondandosi il comodato sulla fiducia delle parti interessate, esso si estingue con la morte del comodante. La prospettata natura di contratto fondato sull'"intuitus personae" (peraltro in prospettiva bilaterale) non ha alcun aggancio normativo, né ne indicano i resistenti.


3.3. Quanto alla forma di tale contratto di comodato, va osservato che è giurisprudenza costante di questa Corte Suprema (Cass. 4/12/1990, n. 11620; Cass. 13/10/73 n. 2591; Cass. 20/3/76 n. 1018; Cass. 25/6/77 n. 2732; Cass. 23/2/81 n. 1083;) che l'onere della forma scritta nei contratti, previsto dall'art. 1350 cod. civ., non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale come nel caso di specie.


Ne consegue che la prova di esso può essere data per testi ed anche per presunzioni, in quanto dalla legge non è prescritta alcuna forma particolare.


3.4. Va, infine, rilevato con riguardo alla fattispecie in esame, che, in presenza dell'intento empirico dei tre fratelli di concedere un alloggio alla madre ed alla sorella nubile per tutta la restante vita, ove anche il contratto posto in essere sia stato di donazione del diritto di abitazione, con conseguente nullità dello stesso per difetto di forma, a norma dell'art. 1424 c.c. si verificherebbe la conversione di questo nel contratto di comodato "vita natural durante".


4. Pertanto , in accoglimento dei motivi di ricorso, va cassata l'impugnata sentenza che non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e la causa va rinviata, anche per le spese di questo giudizio di cassazione alla Corte di appello di Roma, che si uniformerà ai seguenti principi di diritto:


"È configurabile il comodato di una casa per consentire al comodatario di alloggiarvi per tutta la vita senza che perciò debba ravvisarsi un contratto costitutivo di un diritto di abitazione, con conseguente necessità di forma scritta ad substantiam"


"L'onere della forma scritta nei contratti previsto dall'art. 1350 c.c. non riguarda il comodato immobiliare, anche se di durata ultranovennale, il quale può essere provato per testi e per presunzioni"


"Nell'ipotesi di comodato a termine , quale è quello di un immobile per tutta la vita del comodatario, stante la natura obbligatoria del contratto, gli eredi del comodante sono tenuti a rispettare il termine di durata del contratto, in pendenza del quale si sia verificata la morte del comodante".


P.Q.M.


Accoglie il ricorso. Cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma.


venerdì 6 giugno 2008

GIORGIO AMBROSOLI


Giorgio_AmbrosoliGiorgio Ambrosoli (

Milano17 ottobre 1933 – Milano11 luglio 1979)


 


Per un avvocato la figura dell'avv. Giorgio Ambrosoli costituisce sempre un punto di riferimento. Tuttavia, sfortunatamente, molti ancora non conoscono questo "eroe borghese", assassinato l' 11 luglio 1979 da un sicario ingaggiato dal banchiere siciliano Michele Sindona, sulle cui attività aveva ricevuto incarico di indagare. Infatti, nel 1971 si erano creati forti sospetti sulle attività del banchiere siciliano Michele Sindona. La Banca d'Italia decise di investigare sulla Banca Privata Italiana, di cui Sindona aveva il controllo. Ciò che emerse dalle investigazioni la indusse, nel 1974, a ordinare un commissario liquidatore. Per il compito fu scelto Ambrosoli.


Nell'assolvimento di tale compito, Ambrosoli finì per scontrarsi con i cosidetti "poteri forti", i quali prima cercarono di corromperlo e poi, dopo averlo minacciato, decisero di ucciderlo.  Venne assassinato sulla porta di casa al termine di una lotta impari durata cinque anni fra quel "borghese" e la grande rete di poteri sommersi che proteggevano Sindona, la Mafia, la P2 di Licio Gelli, la finanza vaticana dello Ior, la Democrazia cristiana di Andreotti, gli ufficiali e i magistrati corrotti, i circoli americani più reazionari.



Giorgio Bocca su La Repubblica dell'11 luglio 1999, a vent'anni esatti dall'assassinio, rendeva così omaggio all'avv. Giorgio Ambrosoli:



l' uomo che sfidò Sindona e la mafia












Sono passati venti anni dal giorno in cui "un eroe borghese" è stato assassinato a Milano. Questo è il titolo che Corrado Stajano ha dato alla biografia di Giorgio Ambrosoli l' avvocato milanese ucciso con tre colpi di rivoltella, l' 11 luglio del 1979, da un sicario del banchiere mafioso Michele Sindona. Assassinato sulla porta di casa al termine di una lotta impari durata cinque anni fra quel "borghese", o si potrebbe dire fra quel cittadino quasi solo, e la grande rete di poteri sommersi che proteggevano Sindona, la Mafia, la P2, la finanza vaticana dello Ior, la Democrazia cristiana di Andreotti, gli ufficiali e i magistrati corrotti, i circoli americani più reazionari. Un avvocato di Milano serio, intransigente di "brutto carattere" come dicevano quelli che non riuscivano a comprarlo. Una di quelle persone che da sole contraddicono la società in cui vivono, i suoi vizi, le sue paure. E che non fanno disperare nella pianta storta dell' uomo. Cinque anni di lotta impari in cui l' avvocato milanese sa che la sua vita è appesa a un filo. La moglie Annalori un giorno ha trovato fra le sue carte una lettera testamento. "Qualunque cosa succeda, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto. Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia e nel senso trascendente che io ho verso il paese, si chiami Italia si chiami Europa. Riuscirai benissimo ne sono certo perché tu sei molto brava e perché i tre ragazzi sono uno meglio dell' altro. Sarà per te una vita dura ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai sempre il tuo dovere". Un avvocato milanese che si occupa di ispezioni bancarie, vissuto nelle intricate e anche sporche vicende dell' alta finanza, ma in questa sua lettera c' è il tono alto, il distacco etico, anche se è difficile dirlo di questi tempi, dei condannati a morte della Resistenza. Di eroi veri ce ne sono pochi in giro, di eroi borghesi pochissimi. Perché Giorgio Ambrosoli teme di venir assassinato? Perché nel settembre del ' 74 il governatore della Banca di Italia Guido Carli lo ha scelto come commissario liquidatore della Banca privata italiana, una delle banche di Michele Sindona. Perché lui e non altri? Forse per il buon lavoro fatto per il fallimento della Sfi una finanziaria milanese, forse su suggerimento del banchiere Tancredi Bianchi. Lo sconosciuto avvocato Giorgio Ambrosoli contro uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo... Si potrebbe dire un uomo normale se gli uomini come lui non fossero una rarità. Sindona è uno dei siciliani che hanno fatto fortuna a Milano perché la Milano dei soldi sa come crescere anche certi uomini arrivati dal profondo sud con i sandali ai piedi come Virgillito, uomini intelligenti, tranquillamente amorali pronti a trovare con i loro pari affinità elettive automatiche, anche se non trasparenti. Pronti ad aprire nuove strade speculative anche per i rispettabili cumenda dell' "Ambrogino d' oro". E con l' intelligenza spregiudicata che non guarda in faccia nessuno, che mira a un unico scopo: fare denaro, farlo in fretta, farlo con l' astuzia e con le protezioni che occorrono. C' è una intervista di Sindona a un giornalista americano in cui dettagliatamente, senza nessuna esitazione moralistica, spiega come si possa depositare del denaro sporco a Hong Kong dove giocando sul cambio dello Yen, "un uomo che abbia una certa esperienza di questo sistema può in pratica rendere puliti centinaia di milioni di dollari in un tempo relativamente breve". Milano scopre Sindona quando Time esce con la sua fotografia in copertina e in una lunga intervista lui spiega come stia diventando il maggior venditore mondiale di succhi di frutta. Sindona è un siciliano arrivato, a Milano e gli Stati Uniti, i due luoghi del potere e del successo del "business" degli uomini di onore. L' uomo è riservato, segreto, non è facile avvicinarlo, ascolta in silenzio con il suo volto pallido, lo sguardo da faina e continua con le sue mani a fare dei complicati giochini di carta. Di certo ha messo assieme una immensa fortuna, la Banca Unione e la Banca privata a Milano, la banca Franklin a New York e la Fasco una finanziaria padrona di centinaia di aziende. Quando Ambrosoli entra per la prima volta nello studio privato di Sindona, nel settembre del ' 74, incomincia a capire il personaggio, la sua megalomania, il piacere dei grandi banchieri di apparire raffinati nel giro delle speculazioni, staccati dalla volgarità del tempo, imbattibili nelle cose concrete ma con gusti eleganti: Raffaele Mattioli il signore della Commerciale edita testi critici della letteratura italiana, con il plauso di Togliatti anche lui cultore del Dolce stil nuovo. Lo studio è nel cuore del capitalismo italiano di fronte alla Banca commerciale, vicino al Banco Ambrosiano e alla Mediobanca di Cuccia. E' il suo santuario: una statuetta lignea di Francesco Laurana, un busto del Pollaiolo, un fratino del sedicesimo secolo come scrivania e lui magro e pallido come un trappista. In fondo una porticina che conduce in un sottotetto dove per anni sono state nascoste le carte più delicate. Ma dentro, quando arriva Ambrosoli il commissario liquidatore, non c' è più niente, le carte sono sparite. Sindona è un uomo misterioso anche perché chi dovrebbe scoprire i suoi segreti finge di non sapere, di non vedere. Nel ' 72 è arrivata alla questura di Milano una informativa del Criminal police office di New York in cui si dice che Sindona è in stretti rapporti di affari con un certo Daniel Anthony Porco per un traffico di stupefacenti. Ma Sindona è uomo al di sopra di ogni sospetto: è stato invitato da Paolo VI a rimettere ordine nelle finanze vaticane; durante un ricevimento al Saint Regis di New York, Andreotti lo ha salutato come "il salvatore della lira". Più è nei guai, più la revisione di Ambrosoli dimostra che le banche di Sindona sono prossime all' insolvenza e più i suoi difensori trovano ascolto presso il nostro governo: due italo-americani amici di Gelli vengono ricevuti da Andreotti, parlano con lui un ora e mezzo, sono i rappresentanti degli italo-americani cari al nostro capo del governo. Sono preoccupati che un così illustre e benefico concittadino venga messo sotto accusa dai "comunisti". Veramente Ambrosoli è il figlio di un conservatore monarchico e lui è un cattolico amico di cattolici ma lo si dipinge come un sovversivo. E intanto il banchiere Sindona già colpito da un mandato di cattura con richiesta di estradizione dagli Stati Uniti scrive ad Andreotti da una suite del Waldorf Astoria: "Illustre presidente, nel momento più difficile della mia vita sento il bisogno di rivolgermi direttamente a lei per ringraziarla dei rinnovati sentimenti di stima che ella ha recentemente manifestato". Segue un elenco di tutto ciò che il governo italiano deve fare per coprire la bancarotta e i debiti ed evitargli le grane giudiziarie. Come se nulla fosse, Sindona continua a tener conferenze nelle università americane impartendo lezioni di moralità e di oculatezza. Ma Ambrosoli non si lascia intimidire. Presenta alla Banca d' Italia la sua prima relazione sul passivo della Banca privata italiana: 417 miliardi più un prestito di seicento miliardi della Germania federale garantito dalla Banca di Italia. L' isolamento di Ambrosoli aumenta, trova solo persone che gli danno suggerimenti vaghi, assicurazioni generiche. Un giorno dice a un amico: "Mi vogliono bruciare, mi vogliono far fuori? Vogliono uno che non riesca a mettere le mani e gli occhi dove vanno messi?". Se cerca di sapere qualcosa sullo Ior, la banca vaticana, incontra un muro di gomma. Nell' ottobre del ' 75 riesce però a mettere le mani sulle carte della Fasco e questa volta Sindona si infuria, lo denuncia alla magistratura e all' Ordine degli avvocati della Banca d' Italia, accusandolo di avere rubato le azioni della finanziaria e incomincia a mandargli i suoi messaggi di morte: "La vendetta e più bella quando è lontana". Un giornalista chiede a Ambrosoli: "Perché si parla di lei come del nemico di Sindona?" Risponde: "E' molto semplice mi pare, sono diventato il nemico di Sindona ma non l' amico dei potenti. Ho dovuto pestare i piedi a troppa gente che sta nel Palazzo. Per esempio ecco l' ultima pratica. Qualche giorno fa mi sono rivolto al tribunale per farmi restituire dall' Irades i dieci milioni che ebbe da Sindona. Vuol sapere chi è il presidente di questo istituto di studi sociologici? E' l' onorevole Piccoli che i dieci milioni li ebbe direttamente da Sindona, ma che ora dice di non doverli restituire". Così poco Ambrosoli si fida dei nostri governanti che dovendo consegnare la relazione sul crak Sindona a una decina di uffici, temendo che ci sia una fuga di notizie fa scrivere in ogni copia un errore di battitura diverso e conserva le varianti in luogo sicuro. Alla fine del dicembre ' 78 incominciano le telefonate con minacce di morte. Il 26 Ambrosoli annota: "Mi cerca quattro volte al telefono, in studio prima e in banca poi, tale Cuccia. Lamenta che in Usa non avrei detto la verità su Michele Sindona. Devi tornare là entro il 4 gennaio con i documenti veri perché se Michele Sindona viene estradato tu non campi". E il 5 gennaio del ' 79: "Ritelefona due volte il soggetto che si è presentato a nome Cuccia. Stavolta a nome Sarcinelli. Insiste perché vada in Usa e dice che il 15 gennaio può intervenire l' estradizione. Altre telefonate in cui "il Picciotto" dice che Andreotti trama contro di me. Entra in funzione il controllo telefonico ma credo che ci sia poco da contarci". L' ultima telefonata è del 12 gennaio del 79 e così la riferisce Stajano nel suo Un eroe borghese: ""Pronto avvocato". Ambrosoli: "Buon giorno". "L' altro giorno ha voluto fare il furbo? Ha fatto registrare la telefonata". A: "Chi glielo ha detto?" "Eh sono fatti miei chi me lo ha detto. Io la volevo salvare, ma da questo momento non la salvo più". A: "Non mi salva più?" "Non la salvo perché lei è degno di morire ammazzato come un cornuto. Lei è un cornuto e bastardo"". Le telefonate cessano, Sindona ha deciso di far uccidere Ambrosoli. E qualcosa trapela ai figli: il più piccolo, Beto, dice di aver sentito una notte una di quelle telefonate e scoppia in pianto. Ambrosoli cerca di tranquillizzarlo: "Stai tranquillo Beto io morirò vecchietto nel mio letto di Ronco". Il 13 giugno del ' 79 un commesso della Banca privata scende in cantina dove è conservata una parte dell' archivio e trova una rivoltella, pezzi di una rivoltella segati. E' un segnale? Pochi giorni dopo arrivano a Milano i giudici americani che si occupano di Sindona. Ambrosoli viene inquisito come se fosse lui il bancarottiere. Risponde preciso, con calma. Intanto il killer William J. Aricò e già arrivato a Milano. Aricò è stato presentato a Sindona da Robert Venetucci un trafficante di eroina. Aricò ha preso alloggio all' hotel Splendido vicino alla stazione centrale. La mattina dell' 11 luglio Aricò noleggia una Fiat 127 targato Roma. A bordo di quella macchina Aricò aspetta per ore davanti al portone di via Morozzo della Rocca che Ambrosoli esca. Tre colpi di pistola rimbombano a mezzanotte. Aricò restituisce la macchina il giorno dopo all' agenzia Maggiore e paga con una carta di credito americana. Sarà arrestato l' 8 dicembre mentre rapina una gioielleria di New York. Aricò muore il 19 febbraio dell' 84 mentre sta tentando di evadere dal carcere. Poco prima ha confessato a un giudice americano di essere l' assassino di Ambrosoli. Il prezzo pagato da Sindona è di venticinquemila dollari versati poco prima del delitto e novantamila accreditati su una banca di Lugano. Michele Sindona e Robert Venetucci sono stati condannati all' ergastolo. Ho assistito a quel processo a Milano: Sindona indossava un abito scuro, aveva un' aria spiritata, i pochi capelli ritti in testa. Entrò nella gabbia dove già si trovava il suo complice e mormorò un "How are you Venetucci"? L' altro non rispose. Lo osservavo da pochi metri: aveva un suo taccuino in pelle scura e vi scriveva continuamente chi sa cosa, come se potesse fare qualcosa contro le prove schiaccianti. Nessuno ha spiegato la morte di Aricò, invece la morte di Sindona è un mistero senza misteri nella esecuzione: è stato avvelenato con un caffè nel carcere, il secondino che gli ha portato il caffè non è stato inquisito, era arrivato pochi giorni prima da un istituto di pena siciliano. I potenti si sono tolti dai piedi un testimone pericoloso uno che avrebbe potuto raccontare molte cose sul loro conto. Nel delitto Ambrosoli si ritrovano alcuni personaggi di oscure vicende italiane: Licio Gelli, Giulio Andreotti, Franco Evangelisti, il giornalista ricattatore di Op. Il professor Marco Vitale ha scritto in morte di Ambrosoli: "L' assassinio di Ambrosoli è il culmine di un certo modo di fare finanza, di un certo modo di far politica, di un certo modo di fare economia. I magistrati inseguono esecutori e mandanti del delitto, ma dietro ci sono i responsabili, i responsabili politici. E questi sono tutti coloro che hanno permesso che la malavita crescesse e occupasse spazi sempre più larghi nella nostra vita economica e finanziaria, e questi sono gli uomini politici che definirono Sindona salvatore della lira, sono i governatori della Banca di Italia che permisero che i Sindona penetrassero tanto profondamente nel tessuto bancario italiano, pur avendo il potere e il dovere di fermarli per tempo; sono i partiti che presero tangenti formate da denari rubati ai depositanti sapendo esattamente che di questo si trattava: sono quelli il cui nome è scritto nella lista dei cinquecento che hanno nascosto i soldi oltre frontiera, tutti quelli che da venti anni al vertice della politica e della economia hanno perso persino il senso di cosa sia la professionalità, cioè il subordinare la propria fetta di potere piccola o grande che sia, agli scopi dell' ordinamento, delle istituzioni, della propria arte o professione, all' interesse pubblico". L' avvocato Ambrosoli ha vinto o perso la sua scommessa sulla onestà? Personalmente l' ha vinta, storicamente l' ha persa. Negli anni passati dalla sua morte l' integrazione nel male, la "facilità del male" sono aumentate non diminuite. - di GIORGIO BOCCA


giovedì 5 giugno 2008

SANZIONI PECUNIARIE PROPORZIONATE AL REDDITO E AL PATRIMONIO


Credo che la sicurezza sulle strade sia un argomento importante che richiederebbe un'ampia discussione. Io, però, voglio concentrarmi su un particolare aspetto che ritengo interessante: il sistema delle sanzioni pecuniarie previste dal codice della strada.


Il codice della strada serve a regolare il vivere civile lungo le nostre strade, sanzionando all'occorrenza i trasgressori di quelle che sono le regole preordinate alla nostra sicurezza. Le sanzioni, in esso previste, dovrebbero funzionare da deterrente nei confronti di conducenti temerari. Eppure, nonostante il complesso articolato di norme di cui è composto, nonostante le sanzioni in esso previste, nonostante il continuo inasprimento di esse, il tasso di mortalità sulle strade non diminuisce in modo molto significativo. ll bilancio generale, resta, purtroppo, molto pesante: in media 617 incidenti al giorno, con 15 morti e 860 feriti. Perchè?


Ritengo che quello che dovrebbe essere un sistema finalizzato all'educazione stradale si stia trasformando in un sistema finalizzato al "fare cassa". A mio modo di vedere ciò è testimoniato dal fatto che si perde sempre più di vista quello che è (o dovrebbe essere) un criterio cardine del codice della strada: ossia la proporzionalità tra la pena relativa ad una trasgressione e la condizione economica del trasgressore. Bisogna, al riguardo, ricordare che l'art. 195 del codice della strada stabilisce che "nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dal presente codice, tra un limite minimo ed un limite massimo, si ha riguardo alla gravità della violazione, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità del trasgressore e alle sue condizioni economiche".


In sistemi giuridici penali come quello Svedese, Finlandese e Norvegese, nonchè in quello Tedesco il sistema delle sanzioni pecuniarie è fortemente e strettamente legato alla condizione economica del soggetto trasgressore. Si veda a tal proposito il  codice penale tedesco il quale prevede che la pena pecuniaria venga comminata in tassi giornalieri. Il giudice determina l’importo di un tasso giornaliero tenendo in considerazione le condizioni personali ed economiche dell’autore. Di regola, ci si basa sul guadagno netto che l’autore realizza o potrebbe realizzare mediamente in un giorno. Ai fini della commisurazione del tasso giornaliero possono essere valutati gli introiti dell’autore, il suo patrimonio ed altri elementi. Anche il nostro codice penale prevede una norma (l’art. 133 bis) tendente a collegare “le condizioni economiche del reo“ alla determinazione dell’ammontare della multa o dell’ammenda.


Secondo la mia opinione, questa è la direzione su cui puntare in tema di sanzioni conseguenti ad infrazioni stradali. E ciò risulta perfettamente coerente col nostro articolo 3 della Costituzione il quale ricorda come tutti i cittadini siano uguali davanti alla legge. Infatti, l'uguaglianza dei cittadini non sta affatto nel trattare tutti allo stesso modo ma nel trattare diversamente ciascuno a seconda della propria condizione. Inoltre, è bene sottolineare come l'articolo 27 della Costituzione espressamente ricordi che le pene (e le sanzioni in genere) devono tendere alla rieducazione.


In Italia, invece, il sistema delle sanzioni riguardanti la commissione di infrazioni stradali sembra invece dimenticarsi del ruolo pedagogico che dovrebbe svolgere. Pare, infatti, che le multe stradali siano solo un veicolo per riempire le casse pubbliche. La pena pecuniaria dovrebbe, invece, servire da educatrice, incidendo su tutti i conducenti (abbienti o meno che siano) in modo omogeneo: ma ci rendiamo conto che ciò non avviene; principalmente perché molti di quelli che infrangono le norme basilari per la sicurezza stradale, causando tragici incidenti, non si curano di dovere pagare multe, anche molto salate, di alcune centinaia di euro. Si veda l’esempio dell’incidente, nel quale ha perso la vita una donna, causato da un uomo alla guida di un grosso SUV, il quale ha provocato lo scontro tra un tram e un autobus in Corso di Porta Vittoria a Milano qualche mese orsono: il conducente in questione “vantava” decine di multe a suo carico.


Poniamo un caso concreto: avere superato di 15 km/h il limite previsto su un tratto di strada comporta la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 148 a euro 594. Per una persona con uno stipendio medio di € 1.000,00 tale sanzione è molto (non uso il termine troppo poichè non intendo giustificare chi infrange le regole) severa. Lo stesso non può dirsi per una persona che può disporre di un reddito 10 volte maggiore.


La mia conclusione è che le sanzioni per le infrazioni stradali (anche in ossequio all’art. 195 cod. strad.) devono essere più strettamente legate all’effettiva condizione economica del reo altrimenti, stando così le cose, si hanno due semplici ed ingiuste conseguenze: i più colpiti restano sempre i cittadini comuni i quali, nel commettere un errore alla guida, possono subire una sanzione pecuniaria decisamente severa (che può in alcuni casi persino compromettere il bilancio familiare mensile); d’altro canto, chi dispone di maggiori mezzi finanziari non sarà mai portato a rispettare le regole.


Ho sempre odiato qualunque sistema che consentisse, pagando, di infrangere a proprio piacimento le regole. Perciò penso che anche in tema di sicurezza stradale occorra far sì che chi è più ricco sia intimorito all’idea di subire una sanzione allo stesso modo di quanto lo possa essere una persona con finanze più comuni.


 

martedì 3 giugno 2008