La diffusione di un
messaggio diffamatorio attraverso l'uso di Facebook integra
un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595, comma terzo, cod.
pen., il quale stabilisce che "se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro".
Infatti, come spiega la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7264/2016, con tale condotta l'agente, potenzialmente, è in grado di raggiungere con il proprio messaggio diffamatorio un
numero indeterminato o comunque quantitativamente notevole di persone.
Dunque, in questo caso l'ipotesi aggravata del delitto di diffamazione trova il suo fondamento nella potenzialità, nell'idoneità e nella capacità del social network di raggiungere una moltitudine di persone, e soprattutto nella conseguente probabilità che il messaggio diffamatorio, raggiungendo un numero indefinito di destinatari, cagioni un gravissimo danno all'immagine della persona offesa.
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