venerdì 25 maggio 2012

LA COSTITUZIONE ITALIANA:LA PIU’ AFFASCINANTE DELLE LETTURE – ARTICOLO 30

Costituzione della Repubblica italiana, articolo 30: “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità".


L'articolo 30 della Costituzione pone sui genitori il "diritto-dovere" di mantenere, istruire ed educare i figli. Essendo sia un diritto che un dovere, i genitori hanno sia la piena libertà nell'assolvere il proprio compito sia l'obbligo di svolgerlo nell'interesse della prole e della società tutta. Mantenere i figli significa fornirgli tutte quelle risorse materiali necessarie per il pieno sviluppo della vita umana. Istruirli significa trasmettere ai figli tutte le conoscenze utili per il dispiegarsi delle potenzialità personali, consentire loro di frequentare gli istituti scolastici, secondo le loro capacità e le loro aspirazioni. Educarli significa trasmettere alla prole i valori etici, sociali e religiosi eredità della propria famiglia e patrimonio della Repubblica.


Da notare che secondo la dottrina e la giurisprudenza della Cassazione, il dovere di mantenere i figli non cessa automaticamente allorché i figli raggiungono la maggiore età ma perdura fino a quando non abbiano raggiunto una propria autonomia ed indipendenza economica.


La Costituzione pone, tramite una riserva di legge, un onere a carico dello Stato nei casi di “incapacità dei genitori”: ossia quello di sostituirsi ai genitori stessi, provvedendo ai compiti ad essi originariamente riservati. Dunque, qualora i genitori naturali non assolvano adeguatamente le loro funzioni, la legge prevede interventi dei servizi sociali, del tribunale ordinario e del tribunale per i minorenni. Tale previsione da parte della Costituzione non va letta come un’interferenza dello Stato nell’educazione  della prole, bensì come un impegno diretto alla tutela dei figli, in particolare nei casi limite  in cui è necessario fare  riferimento ad un eventuale  intervento dello Stato per ragioni economiche e morali, come ad  esempio nel caso di famiglie che abbandonano la prole in mezzo alla strada.


L’articolo 30 della Costituzione impegna la legge ordinaria ad assicurare ai “figli nati fuori dal matrimonio” (cosiddetti figli naturali; quelli nati in costanza di matrimonio sono indicati come figli legittimi) “ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima”. In passato, lo status di figlio era attribuito al solo figlio legittimo che godeva di ogni tutela nei confronti dei genitori, obbligati al mantenimento, all’educazione e all’istruzione, dagli ascendenti, anch’essi tenuti al mantenimento come anche dei parenti.
I figli naturali riconosciuti godevano di identica tutela ma solo nei riguardi del genitore che aveva effettuato il riconoscimento; ai figli non riconosciuti era attribuita una posizione limitata, potendo essi ricevere dal genitore solo un sussidio di natura alimentare.
Anche sul piano successorio la condizione dei figli nati da genitori uniti nel matrimonio era assai differenziata rispetto agli altri.
Ai figli legittimi era infatti riservata una quota indisponibile dell’eredità; i figli naturali riconosciuti erano eredi necessari, ma la loro quota era di entità ridotta; ai figli non riconosciuti era invece attribuito un assegno vitalizio
di natura alimentare.
Dunque, fino alla riforma del 1975 la filiazione legittima era nettamente contrapposta a quella naturale. Solo la prima, infatti, godeva di una considerazione legale.
Il modello familiare accettato, considerato “legittimo” in quanto conforme al diritto ed al costume, era dunque quello fondato sul matrimonio (all’epoca indissolubile) che rappresentava l’unico ambito in cui la filiazione trovava piena dignità e protezione.
La ratio della legge non era tanto quella di creare discriminazione fra due categorie di figli, quanto piuttosto quella di rafforzare la sola famiglia legittima. Oggi la legge ha profondamente mutato la prospettiva; alla filiazione naturale (è infatti scomparsa l’espressione “illegittima”) si è data la stessa dignità di quella legittima attraverso la sostanziale parificazione tra le due categorie di figli e l’abolizione di quei divieti che di fatto impedivano l’accertamento della verità biologica.


Attualmente è allo studio del Parlamento un disegno di legge nel quale si prevede, sostanzialmente, che lo status giuridico di figlio diventi "unico e uguale per tutti". Via libera anche all`estensione dei vincoli di parentela, che non si instaurerebbero più solo con padri e madri ma con le intere famiglie di origine. Un aspetto molto importante, questo, che parificherebbe la situazione anche ai fini successori. La discriminazione più macroscopica ancor oggi presente in Italia, si legge infatti nella relazione che accompagna la legge, è quella che non fa considerare i nati come eredi legittimi delle famiglie dei genitori.


Infine, l’articolo 30 della Costituzione nel disporre che “la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”, ha demandato al legislatore ordinario il potere di fissare le condizioni e le modalità per l’accertamento della paternità biologica, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell'interesse del minore.

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