martedì 18 gennaio 2011

LE IMMISSIONI RUMOROSE NEI RAPPORTI DI VICINATO


L'art. 844 c.c. stabilisce che "il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o calore, le esalazioni, i rumori,gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale   tollerabilità, avuto riguardo alla condizione dei luoghi.   Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso".
Ma la domanda che si pone (e che genera, fra le altre, innumerevoli liti condominiali) è la seguente: qual è la normale tollerabilità? A che questa ne consegue necessariamente un'altra: quando la stessa può dirsi superata?
La Corte di Cassazione con la
sentenza 939/2011 ha affermato che "mentre è senz'altro illecito il superamento dei limiti stabiliti dalle leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attività produttive, fissano nell'interesse della collettività le modalità di rilevamento dei rumori e i limiti massimi di tollerabilità, l'eventuale rispetto degli stessi non può far considerare senz'altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilità formularsi alla stregua dei principi previsti dall'articolo 844 del codice civile".
In termini più semplici, il ragionamento della Suprema Corte può essere sintetizzato con un esempio: esistono dei limiti (fissati esplicitamente per legge) che le attività produttive devono osservare ma è ovvio che un condomino di uno stabile non può essere al riparo da reprimende solo perchè i rumori che produce sono inferiori a quelli consentiti ad una vetreria posta in un'area cittadina produttiva.
La Corte non ha perso l'occasione per ribadire che, nel conflitto tra le esigenze della produzione ed il diritto alla salute, un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma civilistica deve attribuire necessaria prevalenza proprio al diritto alla salute.

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