giovedì 2 dicembre 2010

LA COSTITUZIONE ITALIANA: LA PIU' AFFASCINANTE DELLE LETTURE - ARTICOLO 4


Costituzione della Repubblica italiana, articolo 4: "La Repubblica riconosce e garantisce il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società".
Questo articolo mette insieme alcune contrapposizioni (Repubblica e singolo, diritto e dovere, materialismo e spiritualità) ma è fondamentale perchè concerne un argomento essenziale per ogni civiltà: il lavoro. Ed il lavoro è ancora più essenziale in uno Stato come il nostro che (lo dice il primo articolo della Costituzione) è fondato sul lavoro.
Il lavoro, in realtà è uno strumento, un mezzo attraverso il quale l'uomo, il cittadino, riesce a raggiungere quei diritti e quelle libertà che la Repubblica afferma e garantisce: infatti, con il lavoro e con la sua equa retribuzione, il cittadino è messo nelle condizioni di poter mantenere se stesso e la propria famiglia, possedere un'abitazione, circolare liberamente, aderire ad associazioni, manifestare il proprio pensiero, studiare, conoscere, insomma rendere effettivi i diritti riconosciutigli sulla carta.
La Costituzione, per tale ragione, riconosce l'assoluta importanza del lavoro e non si limita ad affermarla ma impone a se stessa e allo Stato di adoperarsi per rendere effettivo il diritto al lavoro: lo Stato è chiamato a promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Dunque, la legislazione italiana è invitata a conformarsi a questo principio: il lavoro è un diritto e ogni cittadino deve essere messo nelle condizioni di potere svolgere un'attività; ovviamente questa attività deve consentire al cittadino di esplicare la propria personalità, di ottenere una equa retribuzione e di progettare il proprio futuro.
Secondo questa logica, pertanto, a parere dello scrivente risultano assolutamente lontane dal dettato costituzionale tutte quelle politiche volte direttamente o indirettamente a incentivare il precariato e la cosiddetta "flessibilità" (eufemismo usato per indicare l'assoluta impossibilità di ottenere una lavoro sicuro che consenta di progettare il proprio futuro). Sembra un concetto tanto ovvio, certamente in linea persino con i principi cristiani (che, lo sottolineo ancora una volta, sembrano, a mio parere, permeare la nostra Costituzione): l'uomo, a differenza dell'animale, pensa che esiste un domani e agisce oggi proprio in vista di quel domani; con il lavoro (fisso, non precario) l'uomo progetta il proprio futuro, cresce spiritualmente, intraprende un cammino. Non esiste precariato guardando al lavoro con gli occhi della Costituzione.
Nella seconda metà dell'articolo la Costituzione, dopo avere affermato il diritto del cittadino a possedere un lavoro, impone allo stesso un dovere sociale e morale: quello di svolgere un'attività o una funzione (a sua libera scelta) che concorra al progresso materiale e spirituale della società.
Dunque, il lavoro non è solo un diritto ma è soprattutto un dovere: costituisce ciò che occorre allo Stato per progredire sia dal punto di vista economico che morale. Perciò, ogni cittadino ha il dovere di fornire il proprio pezzettino di aiuto (ciascuno secondo le proprie capacità e possibilità) perchè la Repubblica cresca e prosperi.

 

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