giovedì 30 settembre 2010

CENNI DI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE


Prendendo spunto da una domanda alla quale ho dato una risposta all'interno di un altro sito, pcolgo l'occasione per formulare alcuni cenni di natura processuale per quanti non possiedono specifiche competenze giuridiche.
Il quesito riguardava la nascita di un procedimento giudiziario civile: come avviene l'atto di impulso da parte privata e come viene investito della questione il Tribunale. Si tratta di pochi cenni, in termini molto generici ma credo abbastanza semplici da comprendere.
Esattamente l'iter è questo: la parte A, attraverso il patrocinio di un avvocato, redige una "domanda" rivolta al Tribunale con la quale chiede che la parte B venga condannata ad un fare, un non fare o un dare; all'interno di questa domanda (che prende il nome di atto di citazione) la parte A deve indicare, oltre all'oggetto e alle prove sottese alla richiesta, la data ed il luogo in cui le parti dovranno presentarsi dinanzi al Giudice. Il giudice competente territorialmente è quello della circoscrizione in cui risiede il convenuto (ossia la parte B) o all'interno della quale è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione (cioè la prestazione del fare o del dare) oggetto della domanda. Dunque, è il cosiddetto attore che deve indicare una data precisa per la prima udienza. Tuttavia, essa deve essere scelta tenendo presente che tra la data in cui il convenuto ha ricevuto l'atto di citazione e la data della prima udienza devono intercorrere non meno di 90 giorni. Non solo. L'attore (così si chiama la parte che chiama in giudizio) all'interno del proprio atto deve avvertire il convenuto che, sino a 20 giorni prima dell'udienza fissata, questi può presentare, col patrocinio di un avvocato, un proprio atto che si chiama "comparsa di costituzione (perchè con esso il convenuto dimostra di volere partecipare attivamente al processo) e risposta" (poichè con essa il convenuto può, non solo affermare le proprie ragioni contro la domanda formulata dall'attore, ma può, altresì, domandare a sua volta che il Giudice condanni l'attore ad un fare, ad un non fare o ad un dare).
Dunque, preparato l'atto di citazione, l'avvocato si reca presso gli ufficiali giudiziari competenti ad eseguire la notifica e ad essi consegna due copie dello stesso atto: di fatto però una delle due copie deve essere considerata originale (la firma in calce a questo atto è in originale) mentre l'altra sarà solo una copia. Munito dell'atto di citazione, l'ufficiale giudiziario si reca presso l'abitazione del convenuto e provvede a consegnare una copia dell'atto mentre sull'originale redigerà la cosiddetta relazione di notifica: cioè, attesterà che la copia dell'atto è stata ritirata dal diretto interessato o da una persona che ne fa le veci.
Entro dieci giorni dalla notifica, l'avvocato della parte attrice deve recarsi nuovamente dall'ufficiale giudiziario per recuperare l'originale dell'atto notificato, in calce al quale vi è apposta la succitata relazione di notifica. Con l'atto in originale, l'avvocato si reca in Tribunale presso la cancelleria deputata alla cosiddetta iscrizione a ruolo: infatti, proprio entro dieci giorni dalla notifica dell'atto di citazione l'avvocato dell'attore deve obbligatoriamente consegnare alla cancelleria l'originale dell'atto notificato, le prove che intende portare a fondamento della propria domanda e contestualmente pagare il contributo allo stato per l'avvio del procedimento. Da questo momento la causa acquisisce un numero di ruolo, ossia un codice numerico che ne seguirà la vita sino alla conclusione. La stessa cancelleria provvederà a incaricare un Giudice del procedimento relativo e davanti ad esso le parti si troveranno alla prima udienza. Solo alla prima udienza il Giudice designato prenderà conoscenza della questione sottopostagli.

mercoledì 29 settembre 2010

LA CASSAZIONE SUL DANNO NON PATRIMONIALE


Con la Ordinanza 17 dettembre 2010, n. 19816 la Corte di Cassazione mette i cosiddetti puntini sulle "i" a proposito del danno non patrimoniale. Per quanti non conoscono questa categoria di danno (contrapposta al danno patrimoniale, quest'ultimo formato dalla coppia danno emergente - ovvero la perdita economica subita - e lucro cessante - ovvero il mancato guadagno futuro), basti sapere che il danno non patrimoniale altro non è che una perdita non immediatamente definibile sotto il profilo economico: ad esempio un danno alla salute o alla socialità.
L'art. 2059 c.c. stabilisce che "il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge". Dunque, non qualsiasi comportamento che provochi un danno non patrimoniale obbliga chi ha commesso il fatto a risarcirlo ma solo determinati comportamenti stabiliti dalla legge. Fra questi vi sono i reati penali: colui che, commettendo un reato, provoca un danno non patrimoniale ad un altro individuo è obbligato a risarcire il danno stesso.
Perciò, la Corte di Cassazione ha chiarito una volta di più il seguente principio di diritto: "La parte danneggiata da un comportamento illecito che oggettivamente presenti gli estremi del reato ha diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali, ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., i quali debbono essere liquidati in unica somma, da determinarsi tenendo conto di tutti gli aspetti che il danno non patrimoniale assume nel caso concreto (sofferenze fisiche e psichiche; danno alla salute, alla vita di relazione, ai rapporti affettivi e familiari, ecc.)
".

venerdì 24 settembre 2010

SULLA PROCURA ALLE LITI


Qualcuno in rete si domanda per quale ragione alcuni avvocati fanno firmare una procura in bianco ai propri clienti.
Dunque, si tratta di una pratica fortemente scorretta.



Vediamo un po': solitamente l'avvocato, facendo firmare immediatamente una "procura" già presume che l'attività stragiudiziale non condurrà a buoni risultati e sarà costretto a rivolgersi ad un tribunale. Ciò che viene fatto firmare è la cosidetta "procura alle liti", disciplinata dall'art. 83 c.p.c. che recita così: "quando la parte sta in giudizio col ministero di un difensore, questi deve essere munito di procura. La procura alle liti può essere generale o speciale e deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata. La procura speciale può essere apposta in calce o a margine della citazione, del ricorso, della comparsa di risposta o del precetto. In tali casi l'autografia della sottoscrizione della parte deve essere certificata dal difensore. La procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all'atto cui si riferisce".



In parole povere cosa dice il codice? Perchè un avvocato compia validamente un atto dinanzi ad un tribunale in nome e per conto del cliente, quest'ultimo deve conferirgli mandato con un atto pubblico (perciò procura integralmente redatta da un notaio o altro pubblico ufficiale) oppure con scrittura privata autenticata (ossia, una scrittura autenticata da un notaio o altro pubblico ufficiale). Tuttavia, il difensore può egli stesso autenticare la firma del proprio cliente ma ad una condizione e cioè che il mandato sia conferito su un foglio congiunto materialmente ad un atto processuale già predisposto dal difensore. E ciò per consentire al cliente di prenderne visione e autorizzare con coscienza l'atto stesso.
In realtà, per comodità (e a volte, purtroppo, per evitare di perdere prematuramente il cliente) alcuni avvocati si fanno rilasciare immediatamente su un foglio in bianco la procura alle liti dai propri clienti, in modo da potere svolgere immediatamente l'azione processuale. Addirittura alcuni fanno firmare un foglio completamente in bianco che poi riempiranno con la seguente dicitura: Delego a rappresentarmi e difendermi nel presente atto ed in ogni fase e grado del relativo procedimento, l'avv. ____________, conferendogli ogni più ampio potere e facoltà di legge, ivi compresi quelli di transigere, rinunziare, incassare somme e rilasciare quietanze, nonché quella di farsi sostituire. Dichiaro inoltre, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 13 D. Lg. 196/2003, di essere stato edotto che i dati personali richiesti direttamente o raccolti presso terzi saranno utilizzati ai soli fini del presente incarico e presto conseguentemente il mio consenso al loro trattamento. Prendo altresì atto che il trattamento dei dati avverrà mediante strumenti manuali, informatici e telematici con logiche strettamente correlate alle finalità dell’incarico.Eleggo domicilio presso il suo studio in______.
Ripeto: quella di farsi rilasciare procure alle liti su fogli in bianco è una grave scorrettezza compiuta dal professionista. Non firmate mai fogli in bianco e affidatevi a professionisti seri (sono la maggior parte per fortuna!)
 

mercoledì 22 settembre 2010

CONDOMINIO: MODIFICA DELLE TABELLE MILLESIMALI


La Corte di Cassazione con la sentenza 9 agosto 2010, n. 18477 ha stabilito che, in materia di condominio, l'approvazione delle tabelle millesimali non richiede il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c., comma 2.
Dice la Suprema Corte: "la affermazione che la necessità della unanimità dei consensi dipenderebbe dal fatto che la deliberazione di approvazione delle tabelle millesimali costituirebbe un negozio di accertamento del diritto di proprietà sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni è in contrasto con quanto ad altri fini sostenuto nella giurisprudenza di questa S.C. e cioè che la tabella millesimale serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore tra i diritti dei vari condomini, senza incidere in alcun modo su tali diritti (sent. 25 gennaio 1990 n. 431)" E aggiunge: "quando, poi, i condomini approvano la tabella che ha determinato il valore dei piani o delle porzioni di piano secondo i criteri stabiliti dalla legge non fanno altro che riconoscere l'esattezza delle operazioni di calcolo della proporzione tra il valore della quota e quello del fabbricato; in sintesi, la misura delle quote risulta determinata in forza di una precisa disposizione di legge".

Per spiegarsi in maniera più completa la Corte afferma che "l'approvazione del risultato di una operazione tecnica (quale è l'approvazione delle tabelle millesimali: nient'altro se non una proporzione tra una quota e il valore del fabbricato) non importa la risoluzione o la preventiva eliminazione di controversie, di discussioni o di dubbi: il valore di una cosa è quello che è e il suo accertamento non implica alcuna operazione volitiva, ragion per cui il semplice riconoscimento che le operazioni sono state compiute in conformità al precetto legislativo non può qualificarsi attività negoziale".E aggiunge: "il fine dei condomini, quando approvano il calcolo delle quote, non è quello di rimuovere l'incertezza sulla proporzione del concorso nella gestione del condominio e nelle spese: incertezza che non esiste perchè il rapporto non può formare oggetto di discussione, dovendo essere determinato sulla base di precise disposizioni; il fine dei condomini è solo di quello di prendere atto della traduzione in frazioni millesimali di un rapporto di valori preesistente e per conseguire questo scopo non occorre un negozio il cui schema contempla come intento tipico l'eliminazione dell'incertezza mediante accertamento e declaratoria della situazione preesistente".
Dunque "se si tiene presente che tali tabelle, in base all'art. 68 disp. att. c.c., sono allegate al regolamento di condominio, il quale, in base all'art. 1138 c.c., viene approvato dall'assemblea a maggioranza, e che esse non accertano il diritto dei singoli condomini sulle unità immobiliari di proprietà esclusiva, ma soltanto il valore di tali unità rispetto all'intero edificio, ai soli fini della gestione del condominio, dovrebbe essere logico concludere che tali tabelle vanno approvate con la stessa maggioranza richiesta per il regolamento di condominio". La conclusione è perciò quella secondo la quale si deve affermare che "le tabelle millesimali non devono essere approvate con il consenso unanime dei condomini, essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136 c.c., comma 2"