giovedì 3 novembre 2016

REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA CONFIGURABILE ANCHE A SEGUITO DELLA SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI

L’articolo 572 c.p. (così rubricato: “maltrattamenti contro familiari o conviventi") stabilisce che “chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni
”.
Tale norma intende, dunque, tutelare i rapporti familiari o di convivenza e tutti gli altri ad essi assimilabili.
Per ciò che concerne la condotta punita, il reato in questione si consuma solo mediante una ripetizione di atti, i quali debbono potere essere collegati tra loro in modo da essere inseriti in un’ampia ed abituale condotta, tale da imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.
Per ciò che concerne, invece, i soggetti del reato si deve osservare che la giurisprudenza ha sempre ritenuto che ai fini della sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia non fosse necessario che le persone fossero legate da un vincolo di parentela o affinità; quello che è sempre stato considerato fondamentale è che tra di esse fosse riscontrabile un legame di assistenza e\o protezione, e ciò anche in assenza di un rapporto di convivenza o di stabile coabitazione.
Fatte queste premesse di carattere generale, in questa sede si vuole concentrare l’attenzione su una interessante sentenza della Corte di Cassazione, la n° 39331 del 22/09/2016 (sez. II penale) proprio in tema di maltrattamenti in famiglia.
Ebbene, il caso trattato dalla Corte ha riguardato un uomo imputato del predetto reato commesso in danno della moglie legalmente separata. La difesa dell’imputato ha sostenuto l’impossibilità di configurare il reato di cui all’art. 572 c.p., dal momento che, proprio in conseguenza della separazione, la convivenza tra i coniugi fosse venuta meno e, dunque, fosse venuto meno il necessario presupposto della fattispecie di reato. In sostanza la difesa ha ritenuto che il reato di maltrattamenti in famiglia non possa e non debba ritenersi integrato in caso di cessazione della convivenza o di separazione.
Tuttavia, la Suprema Corte non ha ritenuto di condividere la tesi sostenuta dalla difesa ma, al contrario, con la citata sentenza ha stabilito che “il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di persona non convivente o non più convivente con l'agente, quando quest'ultimo e la vittima siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione”.
La Cassazione ha, altresì, aggiunto che il reato di cui all’art. 572 c.p. “persiste anche in caso di separazione legale tenuto conto del fatto che tale stato, pur dispensando i coniugi dagli obblighi di convivenza e fedeltà, lascia tuttavia integri i doveri di reciproco rispetto, di assistenza morale e materiale nonchè di collaborazione”.
Dunque, a parere della Suprema Corte, la convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie in questione e la separazione non esclude il reato di maltrattamenti quando l'attività persecutoria si valga proprio o comunque incida su quei vincoli che, rimasti intatti a seguito del provvedimento giudiziario, pongono la parte offesa in posizione psicologica subordinata o comunque dipendente. Il nucleo familiare, costituito da persone legate da relazioni di reciproco rispetto ed assistenza, sopravvive, infatti, alla cessazione della convivenza e persino alla separazione.
In conclusione, secondo la decisione della Corte di Cassazione deve ritenersi legittimamente configurato il reato di maltrattamenti in famiglia anche in presenza della separazione e della cessazione della convivenza.

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