L’articolo
572 c.p. (così rubricato: “maltrattamenti contro familiari o conviventi") stabilisce
che “chiunque maltratta una persona della
famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità
o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o
custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la
reclusione da due a sei anni.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni”.
Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni”.
Tale
norma intende, dunque, tutelare i rapporti familiari o di convivenza e tutti
gli altri ad essi assimilabili.
Per ciò che concerne la condotta punita, il
reato in questione si consuma solo mediante una ripetizione di atti, i quali debbono potere essere collegati
tra loro in modo da essere inseriti in un’ampia ed abituale condotta,
tale da imporre un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.
Per ciò che concerne, invece, i soggetti del
reato si deve osservare che la giurisprudenza ha sempre ritenuto che ai fini
della sussistenza del delitto di maltrattamenti in famiglia non fosse
necessario che le persone fossero legate da un vincolo di parentela o affinità;
quello che è sempre stato considerato fondamentale è che tra di esse fosse riscontrabile
un legame di assistenza e\o protezione, e ciò anche in assenza di un rapporto di
convivenza o di stabile coabitazione.
Fatte queste premesse di carattere generale, in
questa sede si vuole concentrare l’attenzione su una interessante sentenza
della Corte di Cassazione, la n° 39331 del 22/09/2016 (sez. II penale)
proprio in tema di maltrattamenti in famiglia.
Ebbene, il caso trattato dalla Corte ha
riguardato un uomo imputato del predetto reato commesso in danno della moglie
legalmente separata. La difesa dell’imputato ha sostenuto l’impossibilità di
configurare il reato di cui all’art. 572 c.p., dal momento che, proprio in
conseguenza della separazione, la convivenza tra i coniugi fosse venuta meno e,
dunque, fosse venuto meno il necessario presupposto della fattispecie di reato.
In sostanza la difesa ha ritenuto che il reato di maltrattamenti in famiglia
non possa e non debba ritenersi integrato in caso di cessazione della
convivenza o di separazione.
Tuttavia, la Suprema Corte non ha ritenuto di
condividere la tesi sostenuta dalla difesa ma, al contrario, con la citata
sentenza ha stabilito che “il delitto di
maltrattamenti in famiglia è configurabile anche in danno di persona non
convivente o non più convivente con l'agente, quando quest'ultimo e la vittima
siano legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione”.
La Cassazione ha, altresì, aggiunto che il
reato di cui all’art. 572 c.p. “persiste
anche in caso di separazione legale tenuto conto del fatto che tale stato, pur
dispensando i coniugi dagli obblighi di convivenza e fedeltà, lascia tuttavia
integri i doveri di reciproco rispetto, di assistenza morale e materiale nonchè
di collaborazione”.
Dunque, a parere della Suprema Corte, la
convivenza non rappresenta un presupposto della fattispecie in questione e la
separazione non esclude il reato di maltrattamenti quando l'attività
persecutoria si valga proprio o comunque incida su quei vincoli che, rimasti
intatti a seguito del provvedimento giudiziario, pongono la parte offesa in
posizione psicologica subordinata o comunque dipendente. Il nucleo familiare, costituito
da persone legate da relazioni di reciproco rispetto ed assistenza, sopravvive,
infatti, alla cessazione della convivenza e persino alla separazione.
In conclusione, secondo la decisione della
Corte di Cassazione deve ritenersi legittimamente configurato il reato di
maltrattamenti in famiglia anche in presenza della separazione e della
cessazione della convivenza.
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