martedì 8 marzo 2011

LA CASSAZIONE IN TEMA DI STALKING (O, PIU' CORRETTAMENTE, ATTI PERSECUTORI)


Il decreto legge n. 11/09 ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova fattispecie di reato, costituita dai cosiddetti atti persecutori (volgarmente detti "stalking", dal verbo inglese "to stalk"  che indica il comportamento di colui che "insegue furtivamente la selvaggina"). In realtà, la caccia ed il comportamento dei cacciatori non riguarda per nulla il reato in questione, che invece punisce il comportamento di chi importuna, molesta o minaccia, con varie modalità, un soggetto vittima, in modo così grave da determinare in quest'ultimo un sentimento di paura per la propria incolumità ed ingenerando in esso un condizionamento negativo relativamente alla vita privata e di relazione.
L'art. 612 bis c.p. prevede, infatti, che, “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque reiteratamente, con qualunque mezzo, minaccia o molesta taluno in modo tale da infliggergli un grave disagio psichico ovvero da determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da sei mesi a quattro anni”.
Perché possa ritenersi configurato il reato di stalking è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano “un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima”. E detti atti persecutori possono consistere anche in comportamenti vandalici ai danni dei beni della vittima.
E' quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8832 del 7 marzo 2011.
Per la Corte “danneggiare l'automobile, il sistema d'allarme, il campanello e la porta dell'abitazione della propria ex sono comportamenti che integrano il reato di stalking, per il quale si può essere sottoposti alla misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla vittima”.
Inoltre, perché possa parlarsi di stalking non è necessario che nella vittima insorga una vera e propria malattia di genere ansioso essendo sufficiente il prodursi di “un grave e prolungato turbamento emotivo”.
Gli ermellini hanno quindi affermato che “il reato ex art. 612 bis cp è previsto quando il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, sia tale da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero, in alternativa, da ingenerare nella vittima un fondato timore per la propria incolumità ovvero, infine, tale da costringere la vittima stessa ad alterare le proprie abitudini di vita".

 

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