martedì 26 ottobre 2010

L'ADULTERIO DEL CONIUGE NON E' CONDIZIONE SUFFICIENTE PER DETERMINARE LA COLPA NELLA SEPARAZIONE


La Corte di Cassazione con la sentenza n. 21245/2010, ha evidenziato che la violazione del reciproco dovere di fedeltà (art. 143 c.c.) non legittima di per sé, automaticamente, la pronunzia di separazione con addebito al coniuge adultero, ma solo se abbia reso intollerabile la prosecuzione della convivenza o recato grave pregiudizio all’educazione della prole; pertanto il giudice del merito deve controllare l’oggettivo verificarsi di tali conseguenze, valutando, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato, in quale misura la violazione di quel dovere abbia inciso sulla vita familiare, tenuto conto delle modalità e frequenze dei fatti, del tipo di ambiente in cui si sono verificati e della sensibilità morale dei soggetti interessati.
In parole povere, se un coniuge tradisce in una fase successiva a quella durante la quale si è creata una frattura insanabile del rapporto matrimoniale e questa frattura è ascrivibile al comportamento di entrambi i coniugi, colui o colei che ha tradito non può essere considerato esclusivamente responsabile del naufragio dell'unione.
La violazione del dovere di fedeltà (inteso non solo come impegno, ricadente su ciascun coniuge, di non tradire il rapporto di dedizione fisica e spirituale fra i coniugi, ma anche come impegno di non tradire la fiducia reciproca) può essere causa esclusiva dell’addebito della separazione solo quando si accerti, in fatto, che a quella violazione risale la crisi dell’unione.

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