giovedì 2 luglio 2009

SCANDALIZZATO DAL RAPPORTO TRA IL GIUDICE DELLA CORTE COSTITUZIONALE MAZZELLA ED IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO BERLUSCONI

Trovo inaccettabile, oltraggioso ed infangante della rispettabilità della nostra democrazia quanto emerso in queste ore. Dopo quanto anticipato dall'On. Di Pietro, che aveva domandato ufficialmente in Parlamento spiegazioni circa una cena avvenuta a casa del Giudice della Corte Costituzionale Luigi Mazzella alla quale ha preso parte il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed il Ministro della Giustizia Alfano, il membro della Consulta ha pensato bene di scrivere una lettera al Primo Ministro affermando di non essersi affatto pentito di quel convivio ma, anzi, augurandosi di potere di nuovo ospitare Berlusconi nella propria casa.


Ricordo che la Corte Costituzionale è stata investita della decisione circa la legittimità costituzionale del cosidetto Lodo Alfano, la legge voluta dallo stesso Berlusconi che paralizza i processi per le più alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Presidenti dei due rami del Parlamento). Ricordo anche che senza questa legge il Presidente Berlusconi sarebbe chiamto a rispondere del reato di corruzione in atti giudiziari all'interno del processo che ha già visto la condanna dell'avvocato Mills (il quale appunto è stato condannato per avere ricevuto somme illegali da nostro Premier).


Ora, dopo la risposta che ha fornito il Giudice Mazzella nutro fortissimi dubbi della sua competenza legale. E' infatti un principio di diritto quello secondo il quale il giudice deve essere "TERZO ED IMPARZIALE". Ma come può un giudice essere terzo ed imparziale se ha un rapporto stretto di amicizia con una persona il cui futuro politico e personale dipenderà dalla decisione che prenderà il giudice stesso? Infatti, Berlusconi, in caso di giudizio di legittimità costituzionale, si avvarrà  certamente del cosidetto Lodo Alfano sottoposto al vaglio della Consulta.


Breve corso di diritto per il Giudice Mazzella (spunti tratti da "LA TERZIETA’ DEL GIUDICE PENALE. INCOMPATIBILITA’, ASTENSIONE, RICUSAZIONE" Dott. Cesare Beretta – Tribunale di Pavia):


"I principi di terzietà e di imparzialità del giudice sono proclamati nel testo della Costituzioe a seguito della modifica dell’art. 111, avvenuta con la legge costituzionale 23 novembre 1999 n.2. Essi, tuttavia, erano tutt’altro che sconosciuti nel nostro ordinamento, talvolta citati espressamente talaltra implicitamente considerati, ma sempre ritenuti valori fondanti ed imprescindibili della giurisdizione. La stessa legislazione ordinaria li presupponeva come connaturati al suo esercizio. Basta ricordare la formula del giuramento dei giudici popolari all’atto di assumere le funzioni, con il solenne impegno “… di formare il mio intimo convincimento giudicando con rettitudine ed imparzialità, e di tenere lontano dall’animo mio ogni sentimento di avversione e di favore” (art. 30 L. 10 aprile 1951, n.287), che sottintende il medesimo obbligo per i giudici togati componenti della Corte d’Assise". 


"Indirettamente, ma non meno chiaramente, l’esigenza di imparzialità è alla base degli articoli da 16 a 19 dell’ordinamento giudiziario, il cui nucleo fondamentale risale al 1941. Gli articoli 18 e 19, in particolare, prevedono i casi di incompatibilità per i magistrati ad esercitare funzioni in relazione a rapporti di parentela o affinità con altri magistrati della stessa sede giudiziaria o con professionisti che vi esercitano la loro attività".


"I principi di terzietà ed imparzialità del giudice sono inoltre espressi in trattati e convenzioni internazionali, cui l’Italia ha aderito ben prima del 1999 e che contengono l’affermazione del diritto ad un equo processo, davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale (l’attuale testo dell’att. 111 Costituzione richiama le espressioni dell’art.6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo)".


"Tali principi erano peraltro stati oggetto di particolare attenzione nella giurisprudenza costituzionale già nella vigenza del Codice Rocco e poi, in maniera sempre più decisa, in quella formatasi relativamente all’art. 34 c.p.p. (nel testo anteriore alla riforma “Carotti”), a far tempo dal 1990".


"Con la sentenza 20 maggio 1996 n.155 era stato ulteriormente specificato che “tra i principi del giusto processo, posto centrale occupa l’imparzialità del giudice, in carenza della quale le regole e le garanzie processuali si svuoterebbero di significato. L’imparzialità è perciò connaturata all’essenza della giurisdizione e richiede che la funzione del giudicare sia assegnata ad un soggetto “terzo”, non solo scevro da interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto, ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia da decidere”.


"Nel decennio 1990- 1999 i giudici remittenti individuarono normalmente i parametri costituzionali di riferimento negli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione. Se l’art. 25, affermando che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”, presuppone il principio del giudice imparziale, nell’art. 24 la Corte costituzionale, ancora recentemente, ha ravvisato implicito “il diritto ad un giudizio equo ed imparziale” come “nucleo essenziale del diritto alla tutela giudiziaria


"Infine, anche a prescindere da fonti codicistiche ed ordinamentali, l’imparzialità è contemplata nel codice deontologico quale obbligo professionale del magistrato".


"In un certo senso fu proprio l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale ad anticipare l’enunciazione degli stessi principi come si ritrova nell’art.111 della Costituzione: terzietà e imparzialità del giudice sono ora espressamente indicati come valori di rango costituzionale, che devono caratterizzare non solo il processo penale (anche se ad esso si riferiscono la più ampia elaborazione dottrinale e gli interventi giurisprudenziali di maggior rilievo), ma l’esercizio della giurisdizione in tutte le sue forme"


"Utilizzando un’espressione di sintesi, si potrebbe affermare che l’imparzialità corrisponde al “disinteresse” del giudice per la soluzione della vicenda (disinteresse personale è proprio l’espressione utilizzata dal codice deontologico, sia pure in un contesto non identico)".


"Per garantire l’imparzialità effettiva occorre fare riferimento anche a situazioni o fatti esterni ed estranei alla vicenda processuale in quanto tale, ma suscettibili di influenzarne la soluzione, quali ad esempio rapporti affettivi ed economici o d’altro tipo, tali da far comunque pensare al rischio di un pre-giudizio".


Infine, mi permetto di aggiungere una cosa. Artcicolo 9 comma 3 del codice deontologico dei magistrati: il magistrato "assicura che nell’esercizio delle funzioni la sua immagine di imparzialità sia sempre pienamente garantita. A tal fine valuta con il massimo rigore la ricorrenza di situazioni di possibile astensione per gravi ragioni di opportunità".


Scriviamo alla Corte Costituzionale per domandare le dimissioni del giudice Mazzella!

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