mercoledì 1 luglio 2009

LA CORTE DI CASSAZIONE SUL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE SI ALLONTANA SENZA GIUSTIFICAZIONI DAL POSTO DI LAVORO

Non può essere licenziato il dipendente che si allontana senza autorizzazione dal posto di lavoro se lo stesso non ha mai subito sanzioni disciplinari in tutta la sua carriera.


Questa la decisione della Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 22 giugno 2009, n. 14586.


La questione ha riguardato un dipendente, il quale veniva licenziato per essersi allontanato senza giustificazione dal posto di lavoro, determinando il blocco di alcune macchine di cui aveva la responsabilità.


L’interessato ha proposto ricorso per fare dichiarare illegittimo il provvedimento espulsivo subito, sostenendo, tra l’altro, che l’estrema sanzione del licenziamento è prevista come adeguata solo rispetto all’ipotesi di abbandono del posto di lavoro che determini pregiudizio all'incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti. Inoltre, il ricorrente ha lamentato una mancanza di una valutazione concreta e complessiva dei fatti, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, nonché il non aver tenuto conto della lunga durata del rapporto di lavoro dello stesso e dell'assenza di recidiva.


La Corte di Cassazione, investita del caso, richiamando conforme giurisprudenza (Cass. n. 14551/2000; Cass. n. 16260/2004) ha affermato che il licenziamento è giustificato e conforme al principio di proporzionalità allorquando la condotta del lavoratore, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia dei datori di lavoro, facendo ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali.


Pertanto, a parere dei giudici di legittimità, quel che è veramente decisivo, ai fini della valutazione della proporzionalità fra addebito e sanzione, è l'influenza che il comportamento del lavoratore è in grado di esercitare sul rapporto di lavoro, ponendo in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denotando una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformandosi ai canoni di buona fede e correttezza.


Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che tale principio è stato disatteso dai giudici di merito i quali non hanno tenuto conto, tra l’altro, di alcuni elementi, quali l'assoluta assenza di danno per la produzione sospesa nonché del contesto professionale del dipendente caratterizzato da una durata ultraventennale del rapporto e dall'assenza di precedenti sanzioni, sicuramente rilevante ai fini della prognosi circa la correttezza del futuro adempimento.


La Corte di Cassazione ha così enunciato il seguente principio di diritto.“In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza”.

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