mercoledì 29 aprile 2009

LA CASSAZIONE SULL'ASSEGNO DI DIVORZIO

Con la pronuncia 7614/2009 la Corte di Cassazione torna ad affrontare alcune problematiche relative all’assegno di divorzio.


La pronuncia giudiziale di divorzio produce effetti sia di carattere personale che patrimoniale. In ordine al secondo profilo, i giudici aditi hanno appuntato l’attenzione sull’assegno divorzile che trova la propria causa nello scioglimento del vincolo matrimoniale. L’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articola in due fasi collegate fra loro: una prima nella quale il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, la seconda in cui il giudice deve procedere alla determinazione in concreto dell’assegno, sulla base di una valutazione ponderata che tenga conto delle condizioni economiche dei coniugi (si veda Cass. civ., sez. I civile, sentenza 14 gennaio 2008, n. 593).


Vediamo il caso in questione.


A seguito della pronuncia del giudice di primo grado, concernente la declaratoria della cessazione degli effetti civili del matrimonio, Tizio veniva condannato a corrispondere a Caia un assegno divorzile pari ad € 1.500,00. Questi proponeva appello avverso la decisione del giudice di prime cure, motivando che non ricorrevano i presupposti per la concessione alla ex moglie di un assegno divorzile. In particolare, Tizio asseriva, a sostegno delle proprie ragioni, una serie di circostanze: la mancanza dello stato di bisogno dell’ex coniuge; il modesto tenore di vita, per espressa e condivisa scelta dei partners, durante la convivenza matrimoniale; la mancata dimostrazione da parte di Caia di aver cercato un nuovo posto di lavoro. La corte d’appello riformava in parte qua, la decisione del giudice di primo grado, accogliendo per quanto di ragione il gravame e così riducendo l’ammontare dell’assegno da corrispondere a Caia in € 1.100,00. Nonostante ciò Tizio, non soddisfatto,  proponeva ricorso in Cassazione.


La Corte di cassazione ha chiarito che i giudici di merito hanno rettamente valutato la questione. Tale decisione poggia il proprio convincimento sulla base della corretta applicazione normativa e delle circostanze acquisite agli atti di causa, là dove risultavano particolarmente squilibrate le condizioni economiche tra i partners, in favore del ricorrente e là dove risultava che la controricorrente non era in grado di procurarsi un reddito che le consentisse di mantenere il pregresso tenore di vita. Di conseguenza, si desume che la corte territoriale ha condannato Tizio a corrispondere alla ex moglie un assegno divorzile, peraltro, modesto in relazione al reddito percepito da Tizio.


A tal fine, è utile ricordare l’unanime esegesi giurisprudenziale ad avviso della quale, per redditi sufficienti ad assicurare al coniuge il tenore di vita goduto, non deve farsi riferimento a quello che ha tollerato il coniuge o subito o comunque accettato durante la convivenza, se siffatto apporto viene ritenuto modesto (Cass. civ., sent. n. 3291 del 2001; Cass. civ, sent. 1557 del 2003).


Nella suddetta pronuncia si osserva, infatti, che il tenore della convivenza è stato valutato di comune accordo tra i partners, con la conseguenza che, essendo venuta meno la comunione di vita morale e spirituale fra gli stessi – sfociata, peraltro, nel divorzio – ed, essendo devoluta al giudice la congruità dell’assegno in parola, i parametri di riferimento non potranno più trovare la propria fonte esclusivamente nei pregressi accordi (facta concludentia) inter partes.


In ordine all’entità dell’assegno, la Suprema Corte ha osservato che l’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato, verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, mezzi raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso: tenore di vita che, poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base delle aspettative maturate nel corso del rapporto (ex multis Cass. civ., sez. I, sent. 09 maggio 2008, n. 11560). In particolare la Cassazione ha più volte affermato che al coniuge spetta un assegno tendenzialmente idoneo ad assicurargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, che dovrà essere identificato, avendo riguardo alle potenzialità economiche dei coniugi, ossia sulla base dell’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali (Cass. civ., n. 4764 del 2007; Trib. Forlì, sent. 27 marzo 2008). Di conseguenza, la Corte afferma che se i coniugi scelgono di comune accordo di avere un tenore di vita basso durante il matrimonio, nonostante i redditi alti, l’assegno di dovorzio non deve essere commisurato sulla base di tale parametro. I parametri di riferimento dovranno, invece, essere valutati in maniera oggettiva, sulla base delle risorse economiche degli ex coniugi, sia di natura reddituale che patrimoniale, senza riferimento al patrimonio delle famiglie di loro appartenenza (si veda Cass. civ., sez. I, sent. 11 ottobre 2006, n. 21805).

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