lunedì 27 luglio 2009

LA CORTE DI CASSAZIONE TRA MEDIAZIONE E MANDATO

Con la sentenza n. 16382 del 14 luglio 2009 la Suprema Corte ha affermato che il mediatore, nel caso in cui agisca come mandatario, assume su di sé i relativi obblighi e, qualora si comporti illecitamente, arrecando danni a terzi, é tenuto, a favore di questi ultimi, al risarcimento dei danni.

martedì 7 luglio 2009

IN MEMORIA DI FEDERICO ALDROVANDI


Federico Aldrovandi, 18 anni, viene fermato da quattro poliziotti, picchiato, muore senza motivo. Dopo non si sa nulla, il ragazzo si è ucciso da solo. Il questore e il procuratore della Repubblica non muovono un dito. Due manganelli rotti per spezzare la sua vita. Calci in faccia a terra.
Le pattuglie che hanno fermato Federico erano composte da Monica Segatto, Paolo Forlani, Enzo Pontani, Luca Pollastri.


Ieri il tribunale di Ferrara, giudice Francesco Maria Caruso, ha condannato a tre anni e sei mesi i quattro poliziotti accusati di eccesso colposo nell'omicidio colposo di Federico Aldrovandi. Dedico a lui, alla sua memoria e alla sua famiglia questo post. Voglio contribuire, nel mio piccolo, a diffondere la storia di questo ragazzo.


Pubblico un video terribile, nel quale sotto le parole affrante della madre, si scorgono le immagini di quel povero ragazzo, vittima delle forze che dovrebbero essere preposte alla nostra difesa.


A voi ogni commento.


Ciao Federico.

giovedì 2 luglio 2009

SCANDALIZZATO DAL RAPPORTO TRA IL GIUDICE DELLA CORTE COSTITUZIONALE MAZZELLA ED IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO BERLUSCONI

Trovo inaccettabile, oltraggioso ed infangante della rispettabilità della nostra democrazia quanto emerso in queste ore. Dopo quanto anticipato dall'On. Di Pietro, che aveva domandato ufficialmente in Parlamento spiegazioni circa una cena avvenuta a casa del Giudice della Corte Costituzionale Luigi Mazzella alla quale ha preso parte il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ed il Ministro della Giustizia Alfano, il membro della Consulta ha pensato bene di scrivere una lettera al Primo Ministro affermando di non essersi affatto pentito di quel convivio ma, anzi, augurandosi di potere di nuovo ospitare Berlusconi nella propria casa.


Ricordo che la Corte Costituzionale è stata investita della decisione circa la legittimità costituzionale del cosidetto Lodo Alfano, la legge voluta dallo stesso Berlusconi che paralizza i processi per le più alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Presidenti dei due rami del Parlamento). Ricordo anche che senza questa legge il Presidente Berlusconi sarebbe chiamto a rispondere del reato di corruzione in atti giudiziari all'interno del processo che ha già visto la condanna dell'avvocato Mills (il quale appunto è stato condannato per avere ricevuto somme illegali da nostro Premier).


Ora, dopo la risposta che ha fornito il Giudice Mazzella nutro fortissimi dubbi della sua competenza legale. E' infatti un principio di diritto quello secondo il quale il giudice deve essere "TERZO ED IMPARZIALE". Ma come può un giudice essere terzo ed imparziale se ha un rapporto stretto di amicizia con una persona il cui futuro politico e personale dipenderà dalla decisione che prenderà il giudice stesso? Infatti, Berlusconi, in caso di giudizio di legittimità costituzionale, si avvarrà  certamente del cosidetto Lodo Alfano sottoposto al vaglio della Consulta.


Breve corso di diritto per il Giudice Mazzella (spunti tratti da "LA TERZIETA’ DEL GIUDICE PENALE. INCOMPATIBILITA’, ASTENSIONE, RICUSAZIONE" Dott. Cesare Beretta – Tribunale di Pavia):


"I principi di terzietà e di imparzialità del giudice sono proclamati nel testo della Costituzioe a seguito della modifica dell’art. 111, avvenuta con la legge costituzionale 23 novembre 1999 n.2. Essi, tuttavia, erano tutt’altro che sconosciuti nel nostro ordinamento, talvolta citati espressamente talaltra implicitamente considerati, ma sempre ritenuti valori fondanti ed imprescindibili della giurisdizione. La stessa legislazione ordinaria li presupponeva come connaturati al suo esercizio. Basta ricordare la formula del giuramento dei giudici popolari all’atto di assumere le funzioni, con il solenne impegno “… di formare il mio intimo convincimento giudicando con rettitudine ed imparzialità, e di tenere lontano dall’animo mio ogni sentimento di avversione e di favore” (art. 30 L. 10 aprile 1951, n.287), che sottintende il medesimo obbligo per i giudici togati componenti della Corte d’Assise". 


"Indirettamente, ma non meno chiaramente, l’esigenza di imparzialità è alla base degli articoli da 16 a 19 dell’ordinamento giudiziario, il cui nucleo fondamentale risale al 1941. Gli articoli 18 e 19, in particolare, prevedono i casi di incompatibilità per i magistrati ad esercitare funzioni in relazione a rapporti di parentela o affinità con altri magistrati della stessa sede giudiziaria o con professionisti che vi esercitano la loro attività".


"I principi di terzietà ed imparzialità del giudice sono inoltre espressi in trattati e convenzioni internazionali, cui l’Italia ha aderito ben prima del 1999 e che contengono l’affermazione del diritto ad un equo processo, davanti ad un tribunale indipendente ed imparziale (l’attuale testo dell’att. 111 Costituzione richiama le espressioni dell’art.6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo)".


"Tali principi erano peraltro stati oggetto di particolare attenzione nella giurisprudenza costituzionale già nella vigenza del Codice Rocco e poi, in maniera sempre più decisa, in quella formatasi relativamente all’art. 34 c.p.p. (nel testo anteriore alla riforma “Carotti”), a far tempo dal 1990".


"Con la sentenza 20 maggio 1996 n.155 era stato ulteriormente specificato che “tra i principi del giusto processo, posto centrale occupa l’imparzialità del giudice, in carenza della quale le regole e le garanzie processuali si svuoterebbero di significato. L’imparzialità è perciò connaturata all’essenza della giurisdizione e richiede che la funzione del giudicare sia assegnata ad un soggetto “terzo”, non solo scevro da interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto, ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine alla materia da decidere”.


"Nel decennio 1990- 1999 i giudici remittenti individuarono normalmente i parametri costituzionali di riferimento negli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione. Se l’art. 25, affermando che “nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”, presuppone il principio del giudice imparziale, nell’art. 24 la Corte costituzionale, ancora recentemente, ha ravvisato implicito “il diritto ad un giudizio equo ed imparziale” come “nucleo essenziale del diritto alla tutela giudiziaria


"Infine, anche a prescindere da fonti codicistiche ed ordinamentali, l’imparzialità è contemplata nel codice deontologico quale obbligo professionale del magistrato".


"In un certo senso fu proprio l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale ad anticipare l’enunciazione degli stessi principi come si ritrova nell’art.111 della Costituzione: terzietà e imparzialità del giudice sono ora espressamente indicati come valori di rango costituzionale, che devono caratterizzare non solo il processo penale (anche se ad esso si riferiscono la più ampia elaborazione dottrinale e gli interventi giurisprudenziali di maggior rilievo), ma l’esercizio della giurisdizione in tutte le sue forme"


"Utilizzando un’espressione di sintesi, si potrebbe affermare che l’imparzialità corrisponde al “disinteresse” del giudice per la soluzione della vicenda (disinteresse personale è proprio l’espressione utilizzata dal codice deontologico, sia pure in un contesto non identico)".


"Per garantire l’imparzialità effettiva occorre fare riferimento anche a situazioni o fatti esterni ed estranei alla vicenda processuale in quanto tale, ma suscettibili di influenzarne la soluzione, quali ad esempio rapporti affettivi ed economici o d’altro tipo, tali da far comunque pensare al rischio di un pre-giudizio".


Infine, mi permetto di aggiungere una cosa. Artcicolo 9 comma 3 del codice deontologico dei magistrati: il magistrato "assicura che nell’esercizio delle funzioni la sua immagine di imparzialità sia sempre pienamente garantita. A tal fine valuta con il massimo rigore la ricorrenza di situazioni di possibile astensione per gravi ragioni di opportunità".


Scriviamo alla Corte Costituzionale per domandare le dimissioni del giudice Mazzella!

mercoledì 1 luglio 2009

LA CORTE DI CASSAZIONE SUL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE SI ALLONTANA SENZA GIUSTIFICAZIONI DAL POSTO DI LAVORO

Non può essere licenziato il dipendente che si allontana senza autorizzazione dal posto di lavoro se lo stesso non ha mai subito sanzioni disciplinari in tutta la sua carriera.


Questa la decisione della Suprema Corte di Cassazione, sezione lavoro, nella sentenza 22 giugno 2009, n. 14586.


La questione ha riguardato un dipendente, il quale veniva licenziato per essersi allontanato senza giustificazione dal posto di lavoro, determinando il blocco di alcune macchine di cui aveva la responsabilità.


L’interessato ha proposto ricorso per fare dichiarare illegittimo il provvedimento espulsivo subito, sostenendo, tra l’altro, che l’estrema sanzione del licenziamento è prevista come adeguata solo rispetto all’ipotesi di abbandono del posto di lavoro che determini pregiudizio all'incolumità delle persone o alla sicurezza degli impianti. Inoltre, il ricorrente ha lamentato una mancanza di una valutazione concreta e complessiva dei fatti, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, nonché il non aver tenuto conto della lunga durata del rapporto di lavoro dello stesso e dell'assenza di recidiva.


La Corte di Cassazione, investita del caso, richiamando conforme giurisprudenza (Cass. n. 14551/2000; Cass. n. 16260/2004) ha affermato che il licenziamento è giustificato e conforme al principio di proporzionalità allorquando la condotta del lavoratore, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia dei datori di lavoro, facendo ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali.


Pertanto, a parere dei giudici di legittimità, quel che è veramente decisivo, ai fini della valutazione della proporzionalità fra addebito e sanzione, è l'influenza che il comportamento del lavoratore è in grado di esercitare sul rapporto di lavoro, ponendo in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denotando una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformandosi ai canoni di buona fede e correttezza.


Nel caso di specie, la Corte ha rilevato che tale principio è stato disatteso dai giudici di merito i quali non hanno tenuto conto, tra l’altro, di alcuni elementi, quali l'assoluta assenza di danno per la produzione sospesa nonché del contesto professionale del dipendente caratterizzato da una durata ultraventennale del rapporto e dall'assenza di precedenti sanzioni, sicuramente rilevante ai fini della prognosi circa la correttezza del futuro adempimento.


La Corte di Cassazione ha così enunciato il seguente principio di diritto.“In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l'influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza”.