La Corte Costituzionale,
con la sentenza n. 201 del 21 luglio 2016, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 460, comma 1,
lett. e) c.p.p., nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna debba
contenere l'avviso all'imputato
che ha facoltà di chiedere la sospensione
del procedimento per messa alla prova unitamente all'atto di
opposizione.
Per
comprendere appieno la ratio e l'importanza
di tale pronuncia occorre fare una premessa sulle caratteristiche principali
dell'istituto della messa alla prova e del procedimento per decreto (a seguito
del quale viene emesso il decreto penale di condanna).
L’istituto
della messa alla prova, introdotto con gli artt. 168-bis, 168-ter e 168-quater c.p.,
è così strutturato: a seguito della
richiesta dell'imputato (laddove possibile, nei casi previsti dalla legge), il procedimento penale viene
dichiarato sospeso con ordinanza dal Giudice e l'imputato viene affidato
all'ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) per lo svolgimento di un
programma di trattamento che preveda come attività obbligatorie:
1) l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità, consistente in una
prestazione gratuita in favore della collettività; 2) l’attuazione di
condotte riparatorie, volte ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose
derivanti dal reato; 3) il risarcimento del danno cagionato e, ove
possibile, l’attività di mediazione con la vittima del reato. Decorso il periodo di sospensione del procedimento e
ricevuta la relazione conclusiva dell’U.E.P.E. sulla messa alla prova, il
Giudice, se ritiene che la prova abbia avuto esito positivo, dichiara
con sentenza l’estinzione del reato.
Il
procedimento per decreto, previsto e disciplinato dagli artt. 459 c.p.p. e ss., si
caratterizza per l’assenza del contraddittorio e l’emissione di un decreto
penale di condanna inaudita altera
parte su richiesta del PM, quando all’imputato deve essere applicata
solo una pena pecuniaria. Vengono a mancare pertanto sia l’udienza
preliminare che il dibattimento. Avverso il decreto penale di condanna
l’imputato può presentare opposizione nel termine perentorio di 15 giorni dalla notifica del decreto
stesso. Importante notare che, se manca l’opposizione, il decreto di condanna
diventa esecutivo. Con l’atto di opposizione si instaura un giudizio
ordinario ma l’imputato, contestualmente all’opposizione può anche richiedere
il giudizio immediato, abbreviato o il patteggiamento (cosiddetti riti alternativi al giudizio ordinario).
Inoltre, con l'atto di opposizione l'imputato ha la facoltà di domandare
proprio la sospensione del processo con messa alla prova.
Dunque,
nel procedimento per decreto la richiesta di messa alla prova deve essere necessariamente
presentata con l’atto di opposizione. La mancata formulazione della richiesta
nel termine stabilito dall’art. 464-bis, comma 2, c.p.p., e cioè con l’atto di
opposizione al decreto penale (come detto, un termine brevissimo, di soli 15
giorni), determina una decadenza, sicché nel giudizio conseguente
all’opposizione l’imputato che prima non l’abbia chiesta non può più chiedere
la messa alla prova.
E qui si
arriva al cuore della questione affrontata dalla Corte Costituzionale.
Infatti,
a differenza di quanto accade per gli altri riti speciali (giudizio immediato,
abbreviato e patteggiamento), l’art. 460, comma 1, c.p.p. non prevede tra
i requisiti del decreto penale di condanna l’avviso all’imputato della sua
facoltà (peraltro entro un termine perentorio a pena di decadenza) di chiedere
la messa alla prova contestualmente all’opposizione al decreto. A parere della Corte Costituzionale l’omissione
di questo avvertimento può determinare un pregiudizio irreparabile per
l’imputato.
Al
riguardo, occorre ricordare che la Corte
Costituzionale ha gìà avuto modo di affermare che quando il termine entro cui
chiedere i riti alternativi è anticipato rispetto alla fase dibattimentale, poiché
la mancanza o l’insufficienza del relativo avvertimento può determinare la
perdita irrimediabile della facoltà di accedervi, "la violazione
della regola processuale che impone di dare all’imputato avviso della sua
facoltà comporta la violazione del diritto di difesa" (sentenza n. 148 del 2004). D’altro
canto, non è invece necessario alcun avvertimento quando il termine ultimo per
avanzare tale richiesta venga a cadere all’interno di una udienza a
partecipazione necessaria, sia essa dibattimentale o preliminare, nel corso
della quale l’imputato è obbligatoriamente assistito dal difensore (ordinanza
n. 309 del 2005).
Alla
stregua di tale ragionamento, l’imputato, non ricevendo alcun avviso in merito
alla sua facoltà di domandare la sospensione del procedimento per messa alla
prova entro il termine decadenziale coincidente con la proposizione dell’opposizione
al decreto penale di condanna, rischierebbe di subire una grave violazione
del proprio diritto di difesa. A causa del mancato avviso, infatti, l’imputato potrebbe formulare
tardivamente la richiesta di messa alla prova, che dovrebbe conseguentemente
essere dichiarata inammissibile. In definitiva, secondo la Corte
Costituzionale, la mancata previsione, tra i requisiti del
decreto penale di condanna, di un avviso, come quello previsto dall’art. 460,
comma 1, lettera e), c.p.p. per i riti speciali, della facoltà dell’imputato di
chiedere la messa alla prova comporta una lesione del diritto di difesa e la
violazione dell’art. 24, secondo comma, della Costituzione.
Conseguentemente,
la Corte Costituzionale ha dichiarato "l’illegittimità
costituzionale dell’art. 460, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale,
nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna contenga
l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere mediante l’opposizione la
sospensione del procedimento con messa alla prova".
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