martedì 26 luglio 2016

IL DECRETO PENALE DI CONDANNA DEVE CONTENERE L'AVVISO ALL'IMPUTATO CHE HA FACOLTA' DI CHIEDERE LA MESSA ALLA PROVA

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 201 del 21 luglio 2016, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 460, comma 1, lett. e) c.p.p., nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna debba contenere l'avviso all'imputato che ha facoltà di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova unitamente all'atto di opposizione.
Per comprendere appieno la ratio e l'importanza di tale pronuncia occorre fare una premessa sulle caratteristiche principali dell'istituto della messa alla prova e del procedimento per decreto (a seguito del quale viene emesso il decreto penale di condanna).
L’istituto della messa alla prova, introdotto con gli artt. 168-bis, 168-ter e 168-quater c.p.,  è così strutturato: a seguito della richiesta dell'imputato (laddove possibile, nei casi previsti dalla legge), il procedimento penale viene dichiarato sospeso con ordinanza dal Giudice e l'imputato viene affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) per lo svolgimento di un programma di trattamento che preveda come attività obbligatorie: 1) l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione gratuita in favore della collettività; 2) l’attuazione di condotte riparatorie, volte ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato; 3) il risarcimento del danno cagionato e, ove possibile, l’attività di mediazione con la vittima del reato. Decorso il periodo di sospensione del procedimento e ricevuta la relazione conclusiva dell’U.E.P.E. sulla messa alla prova, il Giudice, se ritiene che la prova abbia avuto esito positivo, dichiara con sentenza l’estinzione del reato.
Il procedimento per decreto, previsto e disciplinato dagli artt. 459 c.p.p. e ss., si caratterizza per l’assenza del contraddittorio e l’emissione di un decreto penale di condanna inaudita altera parte su richiesta del PM, quando all’imputato deve essere applicata solo una pena pecuniaria. Vengono a mancare pertanto sia l’udienza preliminare che il dibattimento. Avverso il decreto penale di condanna l’imputato può presentare opposizione nel termine perentorio di 15 giorni dalla notifica del decreto stesso. Importante notare che, se manca l’opposizione, il decreto di condanna diventa esecutivo. Con l’atto di opposizione si instaura un giudizio ordinario ma l’imputato, contestualmente all’opposizione può anche richiedere il giudizio immediato, abbreviato o il patteggiamento (cosiddetti riti alternativi al giudizio ordinario). Inoltre, con l'atto di opposizione l'imputato ha la facoltà di domandare proprio la sospensione del processo con messa alla prova. 
Dunque, nel procedimento per decreto la richiesta di messa alla prova deve essere necessariamente presentata con l’atto di opposizione. La mancata formulazione della richiesta nel termine stabilito dall’art. 464-bis, comma 2, c.p.p., e cioè con l’atto di opposizione al decreto penale (come detto, un termine brevissimo, di soli 15 giorni), determina una decadenza, sicché nel giudizio conseguente all’opposizione l’imputato che prima non l’abbia chiesta non può più chiedere la messa alla prova. 
E qui si arriva al cuore della questione affrontata dalla Corte Costituzionale.
Infatti, a differenza di quanto accade per gli altri riti speciali (giudizio immediato, abbreviato e patteggiamento), l’art. 460, comma 1, c.p.p. non prevede tra i requisiti del decreto penale di condanna l’avviso all’imputato della sua facoltà (peraltro entro un termine perentorio a pena di decadenza) di chiedere la messa alla prova contestualmente all’opposizione al decreto. A parere della Corte Costituzionale l’omissione di questo avvertimento può determinare un pregiudizio irreparabile per l’imputato. 
Al riguardo, occorre ricordare che la Corte Costituzionale ha gìà avuto modo di affermare che quando il termine entro cui chiedere i riti alternativi è anticipato rispetto alla fase dibattimentale, poiché la mancanza o l’insufficienza del relativo avvertimento può determinare la perdita irrimediabile della facoltà di accedervi, "la violazione della regola processuale che impone di dare all’imputato avviso della sua facoltà comporta la violazione del diritto di difesa" (sentenza n. 148 del 2004). D’altro canto, non è invece necessario alcun avvertimento quando il termine ultimo per avanzare tale richiesta venga a cadere all’interno di una udienza a partecipazione necessaria, sia essa dibattimentale o preliminare, nel corso della quale l’imputato è obbligatoriamente assistito dal difensore (ordinanza n. 309 del 2005).   
Alla stregua di tale ragionamento, l’imputato, non ricevendo alcun avviso in merito alla sua facoltà di domandare la sospensione del procedimento per messa alla prova entro il termine decadenziale coincidente con la proposizione dell’opposizione al decreto penale di condanna, rischierebbe di subire una grave violazione del proprio diritto di difesa. A causa del mancato avviso, infatti, l’imputato potrebbe formulare tardivamente la richiesta di messa alla prova, che dovrebbe conseguentemente essere dichiarata inammissibile. In definitiva, secondo la Corte Costituzionale, la mancata previsione, tra i requisiti del decreto penale di condanna, di un avviso, come quello previsto dall’art. 460, comma 1, lettera e), c.p.p. per i riti speciali, della facoltà dell’imputato di chiedere la messa alla prova comporta una lesione del diritto di difesa e la violazione dell’art. 24, secondo comma, della Costituzione.
Conseguentemente, la Corte Costituzionale ha dichiarato "l’illegittimità costituzionale dell’art. 460, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna contenga l’avviso della facoltà dell’imputato di chiedere mediante l’opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova". 

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