martedì 16 settembre 2008

LA LIBERTA' DI ESPRESSIONE

Personalmente provo sempre una forte emozione nel rileggere la nostra Costituzione, in particolar modo alcuni articoli come ad esempio l'art. 3 (Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali), l'art. 13 (La libertà personale è inviolabile), l'art. 101 (La giustizia è amministrata in nome del popolo; i giudici sono soggetti soltanto alla legge) e così via. Devo dire che gli articoli che ho testè citato, unitamente ad alcuni altri, risultano ai miei occhi come il perfezionamento della cultura e del progresso umano. Checchè molti ne dicano, la nostra Carta Costituzionale è il risultato di quasi tre millenni di storia italiana, il frutto straordinario dell'esperienza politica e sociale della nostra nazione. Creo che poche nazioni nel mondo possano vantare una così illuminata Carta fondamentale.


Purtroppo, questa stessa Costituzione viene poco o male applicata dal legislatore ordinario italiano e spesse volte viene dimenticata pure dalla magistratura, depositaria del potere giurisprudenziale.


Faccio questa premessa poichè trovo molto interessante come la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo ci abbia recentemente ricordato come dobbiamo applicare a casa nostra una nostra norma costituzionale. E' un po' come se un ospite insegnasse al padrone di casa come dovrebbe gestire il suo immobile. Evidentemente (e con la più completa ragione) la Corte Europea si è resa conto come in Italia si sia perso di vista il valore della libertà d'espressione, valore contenuto nella Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (come evidenzia la Corte) ma anche nella nostra stessa Costituzione. 


Perchè dico questo?


Innanzitutto, voglio ricordare a me stesso e a tutti i lettori cosa recitano i primi due fondamentali commi dell'art. 21 della Costituzione: "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure".


Veniamo ora alla pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (sentenza del 17 luglio 2008), premettendo il fatto sul quale essa ha statuito.


Un politologo e docente universitario presso l'ateneo di Palermo, era stato condannato, in sede civile, al risarcimento del danno derivante dalla pubblicazione, nel novembre 1994, sul periodico "Narcomafie", di un articolo dal contenuto lesivo della reputazione dell’allora presidente della Provincia di Palermo. L’articolo analizzava la scelta di quest’ultimo di mantenere in qualità di avvocato la difesa di un imputato nel processo della strage di Capaci, nonostante la decisione dell’ente provinciale da lui presieduto di volersi costituire come parte civile nel medesimo processo.



Secondo i giudici di merito, lo scritto, considerato nella sua interezza, aveva travalicato, anche per le espressioni usate, i limiti dell'esercizio legittimo del diritto di cronaca e critica giornalistica, attribuendo al predetto fatti e comportamenti non verificati ne' verificabili, insinuando che fosse l'ispiratore se non l'unico responsabile della mancata costituzione in giudizio della Provincia di Palermo, in quanto condizionato dagli interessi politico-mafiosi che avevano determinato, sia pure in parte, la sua ascesa politica, e che, anzi, avesse in concreto agito in difesa di quegli interessi inquinati, così violando i principi di pertinenza e continenza elaborati dalla giurisprudenza per la configurabilità dell'esimente e trasmodando in un gratuito attacco personale, in un'ingiustificata aggressione all'integrità morale di questi.



La Corte europea, alla quale l’autore dello scritto si è rivolto, ha ritenuto contraria alla convenzione tale condanna. In primo luogo, la Corte ha valutato i fatti di pubblico interesse e, ancorché oggetto di un ampio dibattito, meritevoli di un ulteriore approfondimento (così respingendo la tesi del Governo, secondo cui l’esistenza di un’ampia informazione comporterebbe l'impossibilità, per il ricorrente, di avvalersi del diritto d'informare il pubblico). La Corte non ha inoltre trovato nell'articolo espressioni che implichino apertamente che la persona interessata abbia commesso dei reati o che proteggeva gli interessi della mafia. In ordine alle espressioni ironiche utilizzate dal ricorrente, la Corte ha sottolineato che la libertà giornalistica può comprendere il ricorso possibile ad una certa dose di provocazione (“le espressioni utilizzate dal ricorrente non sono mai scivolate in insulti e non possono essere giudicate gratuitamente offensive; esse avevano in effetti una connessione con la situazione che l’interessato analizzava”). In ordine al quantum della condanna subita, la Corte ha ritenuto che considerata la situazione finanziaria del ricorrente, la sua condanna a pagare tali somme era suscettibile di “dissuaderlo dal continuare ad informare il pubblico su temi d’interesse generale”.

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