mercoledì 24 settembre 2008

COGNOME MATERNO

E' possibile dare il cognome della madre ai figli legittimi, se c’è piena concordia dei genitori: la Corte di Cassazione sembra, ormai, avere creato un indirizzo consolidato.


Ovviamente, per un appassionato della nostra Costituzione come è il sottoscritto, l'argomento di oggi non poteva che essere incentrato sull'ordinanza n. 23934 della I sezione della Corte di Cassazione, con la quale è stata accolta la richiesta di valutare la possibilità di attribuire il cognome materno ai figli legittimi, nel caso in cui i genitori siano concordi. Il primo presidente della Corte potrà rinviare la questione alle sezioni unite della Suprema Corte oppure chiedere il parere della Corte Costituzionale sul ricorso presentato da due genitori che vogliono dare il cognome materno ai figli.


In particolare, la Suprema Corte ha chiesto la valutazione di un caso "alla luce della mutata situazione della giurisprudenza costituzionale e del probabile mutamento delle norme comunitarie" o di investirne di nuovo la Corte Costituzionale. L'ordinanza definisce le norme attuali "retaggio di una concezione patriarcale della famiglia non più in sintonia con l'evoluzione della società e le fonti di diritto soprannazionali".


Il caso del quale è stata investita la Suprema Corte riguarda due genitori che, in totale accordo, avevano chiesto di attribuire al proprio figlio il cognome della madre al posto di quello del padre scritto nell’atto di nascita. Il tribunale e la Corte d’appello di Milano avevano respinto la richiesta. E allora i giudici della Cassazione hanno risposto ricordando che oggi, dopo la ratifica del trattato di Lisbona (in cui, tra le altre cose, si afferma il diritto al rispetto della vita privata e familiare e la parità tra uomini e donne, nonchè ogni discriminazione fondata sul sesso) "si dovrebbe aprire la strada all’applicazione diretta delle norme del trattato stesso e di quelle alle quali il trattato fa rinvio e, comunque, al controllo di costituzionalità che, anche nei rapporti tra diritto interno e diritto comunitario, non può essere escluso". 


Personalmente ritengo che non fosse neppure necessario fare riferimento ai Trattati Internazionali (nel caso specifico, il Trattato di Lisbona) per giungere ad una simile conclusione, bensì fosse sufficiente ricordare l'art. 3 della nostra Costituzione (che recita: "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso..."),  l'art. 29 ("il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi...") e l'art. 30 ("è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio"): ora, se uomini e donne hanno gli stessi diritti e se i coniugi godono di uguaglianza giuridica, risulta semplicemente consequenziale, alla luce del nostro dettato costituzionale, che il figlio di un uomo e di una donna (siano questi uniti in matrimonio o meno)possa assumere tanto il cognome paterno, tanto quello materno.


E dico ciò anche alla luce di altre norme, quelle del codice civile, che hanno riformato il diritto di famiglia già a far data dal 1975; tra gli altri, alcuni principi fondamentali di tale riforma erano stati, infatti: 1) l'assoluta uguaglianza giuridica dei coniugi (art. 143 c.c.), 2) l'assoluta uguaglianza dei doveri dei coniugi nei confronti della prole (art. 147 c.c.), 3) l'esercizio comune della potestà da parte dei genitori anche se non uniti in matrimonio (art. 316 c.c.).


Evidentemente, analizzando il dettato costituzionale e le norme contenute nel codice civile, la normativa riguardante il cognome della prole non solo risulta (come dice la Cassazione) un "retaggio di una concezione patriarcale della famiglia non più in sintonia con l'evoluzione della società e le fonti di diritto soprannazionali" ma anche (e direi, soprattutto, dato che fino a prova contraria la nostra norme fondamentale è, o dovrebbe essere, la Costituzione) in aperto contrasto con gli articoli 3, 29 e 30 della Costituzione stessa.

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