La Corte di Cassazione con la sentenza del 29 luglio 2014 n. 33452 ha affermato che risponde del reato di sottrazione di minori il coniuge, già
separato, che, all’insaputa e contro la volontà dell’altro coniuge, si
allontana trasferendo la residenza del figlio minore in altro comune.
Entrambi i coniugi, infatti, sono contitolari dei poteri-doveri disciplinati dall’art. 316 cod. civ.: "il figlio è soggetto alla potestà dei genitori sino all'età maggiore o alla emancipazione. La potestà è
esercitata di comune accordo da entrambi i genitori".
Il ruolo educativo affidato ai genitori, consiste nell’assicurare al
figlio uno sviluppo ed una maturazione integrale della personalità,
conformemente all'art. 30, comma primo, Cost., secondo cui "è dovere e diritto dei genitori
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio".
Anche in caso di separazione personale dei genitori, dunque, il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale (ex art. 155, comma primo, cod. civ., come sostituito, prima, dall’art. 1 della L. 8 febbraio 2006, n. 54, e, poi, dal su citato D. Lgs. n. 154 del 28 dicembre 2013, che ha fatto confluire la disposizione, con qualche modifica, nei nuovi artt. 337-bis e 337-ter, cod. civ.).
Risponde, dunque, del suddetto delitto il genitore che, senza il consenso dell’altro, porta via con sé il figlio minore, allontanandolo dal domicilio stabilito, ovvero lo trattiene presso di sé, quando tale condotta determina un impedimento per l’esercizio delle diverse manifestazioni della potestà dell’altro genitore, come le attività di assistenza e di cura, la vicinanza affettiva, la funzione educativa, identificandosi nel regolare svolgimento della funzione genitoriale il principale bene giuridico tutelato dalla norma.
Affinché la condotta del genitore possa integrare l’ipotesi criminosa prevista dall’art. 574 c.p. è necessario che il suo comportamento porti ad una globale sottrazione del minore alla vigilanza dell’altro genitore, sì da impedirgli l’esercizio della funzione educativa ed i poteri inerenti all’affidamento, rendendogli impossibile l’ufficio che gli è stato conferito dall’ordinamento nell’interesse del minore stesso e della società.
Invero per integrare la fattispecie incriminatrice in esame è necessario che, per
effetto della sottrazione, l’esercizio della potestà genitoriale venga reso –
temporaneamente o definitivamente – impossibile, ovvero talmente difficoltoso,
da risultare praticamente tale.
La Suprema Corte ha precisato che, per non ledere il corrispondente diritto dell’altro genitore alla visita ed alla frequentazione del figlio, l’imputato avrebbe dovuto preventivamente rivolgersi al giudice civile, sollecitando la modifica del contenuto delle statuizioni adottate in sede di separazione così come emerge dalle nuove disposizioni di cui all’art. 337 bis e 337 ter cod. civ., inserite dall’art. 55 del D. lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 in materia di riforma della disciplina della filiazione, che hanno, non solo ribadito, ma rafforzato il quadro delle regole dell’istituto della potestà genitoriale, da intendersi sempre meno come un “diritto” e sempre più come “dovere” posto a presidio dei diritti fondamentali della persona del minore.