L’art.
143 del codice civile stabilisce che “con
il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i
medesimi doveri”; in particolare “dal
matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale
e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione”.
Dunque,
marito e moglie devono essere reciprocamente fedeli, devono riservare assistenza
morale e materiale al coniuge, collaborando attivamente nella conduzione della
vita familiare, e hanno il dovere di coabitare.
Qualora
uno dei coniugi violi gravemente uno o più dei predetti doveri e qualora tale
suo comportamento costituisca la causa
determinante la crisi dell’unione matrimoniale, l’altro coniuge ha la
facoltà di domandare al Tribunale che venga accertata, dichiarata e addebitata al primo la responsabilità
della separazione personale dei
coniugi.
Sovente
capita che entrambi i coniugi affermino che la crisi matrimoniale sia
conseguenza del comportamento dell’altro ed altrettanto spesso avviene che all’interno
di un procedimento di separazione entrambe le parti formulino domanda di
addebito della separazione all’altro coniuge.
In
questi casi il Giudice è chiamato a compiere una valutazione decisiva; in
particolare, sulla base delle affermazioni e delle prove sottoposte alla sua
attenzione dalla parti, egli deve stabilire quale violazione dei doveri
coniugali in concreto abbia determinato la crisi del matrimonio
e, qualora le violazioni siano reciproche, se quelle di un coniuge non siano causa
della crisi ma conseguenza del precedente comportamento scorretto dell’altro
coniuge.
E
proprio riguardo ad un caso simile è stata chiamata a giudicare la Corte di Cassazione con la sentenza n. 7469/2017. Marito e
moglie avevano affrontato un procedimento di separazione giudiziale a seguito
del quale il Tribunale aveva addebitato
la separazione al marito; tale decisione era stata poi confermata in appello.
Col ricorso in Cassazione il marito lamentava la non corretta valutazione, in
sede di giudizio di merito, del proprio comportamento, e ciò alla luce di
quello tenuto dalla moglie; l’uomo, infatti, sosteneva che il suo venir meno ai
doveri coniugali (in particolare l’instaurazione di una relazione
extraconiugale) fosse da considerarsi non più grave e persino conseguenza del
comportamento della moglie. Tuttavia, la Suprema Corte con la predetta sentenza
ha affermato che correttamente il Giudice di merito aveva attentamente valutato
il reciproco comportamento tenuto dai coniugi, giungendo a stabilire che l’allontanamento
della moglie dalla casa coniugale (circostanza addotta dal marito per
domandare l’addebito della separazione alla moglie) non avesse costituito violazione
del dovere di coabitazione, essendo stato determinato proprio dalla
scoperta della relazione extraconiugale intrapresa dal marito con un’altra
donna; è proprio tale scoperta era stata individuata dal Giudice di merito come
causa dei continui litigi tra i coniugi e dell’irreversibile
crisi matrimoniale, con la conseguente addebitabilità
della separazione al marito. Dunque, la Cassazione nega che il Giudice
di merito abbia omesso di valutare i comportamenti della moglie ma, al
contrario, ritiene che siano stati correttamente valutati come conseguenza (e non come causa) del
comportamento del marito e che conseguentemente gli stessi non avrebbero potuto
incidere sull’addebitabilità della separazione, coerentemente attribuita al
marito.
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