La Corte di Cassazione con la Sentenza 16 dicembre 2014 n. 52117 è intervenuta per dirimere un annoso contrasto giurisprudenziale circa la qualificazione da attribuirsi alla condotta di sottrazione di merce all’interno di un supermercato, avvenuta sotto il costante controllo del personale di vigilanza: allorché l’autore sia fermato dopo il superamento della barriera delle casse con la mercé sottratta, tale comportamento deve essere qualificato come furto consumato oppure tentato?
Ebbene, sul punto si sono fronteggiati due opposti orientamenti.
Secondo un primo orientamento la condotta in parola integra gli estremi del delitto di
furto consumato, nulla rilevando, al riguardo, “la circostanza che il fatto sia
avvenuto sotto il costante controllo del personale del supermercato incaricato
della sorveglianza”. Tale indirizzo sostiene che il soggetto attivo del reato nel preciso
momento nel quale supera la cassa, senza mostrare (né pagare) la refurtiva
celata, perfeziona la sottrazione del bene del quale, solo allora, “consegue
istantaneamente il possesso illegittimo […] indipendentemente dal monitoraggio
svolto dal personale del supermercato”. Mentre, nulla rileva che fino a
quell’istante il cliente, autorizzato ad apprendere dal banco di esposizione e a
portare con sé la merce prelevata, “non la lasci in vista, avendola riposta
nelle tasche dell’abito o in un qualsiasi contenitore”.
Secondo l’orientamento opposto la concomitante
“sorveglianza continua dell’azione criminosa” da parte del soggetto passivo o
dei suoi dipendenti impedisce la consumazione del reato di furto, in quanto la
refurtiva, appresa e occultata permane nella “sfera di vigilanza e di controllo
diretto dell’offeso, il quale può in ogni momento interrompere” la condotta
delittuosa.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno ritenuto di dover comporre il contrasto giurisprudenziale
mediante la riaffermazione di tale secondo orientamento, nel senso della
qualificazione giuridica della condotta in esame in termini di furto tentato.
Infatti, tale indirizzo si fonda sulla considerazione che la concomitante osservazione da
parte della persona offesa, ovvero del dipendente personale di sorveglianza,
dell’avviata azione delittuosa (al pari dei controlli strumentali mediante
apparati elettronici di rilevazione automatica del movimento della merce,
scilicet: sensori, placche antitaccheggio) e la correlata e immanente
possibilità di intervento nella immediatezza, a tutela della detenzione,
impediscono la consumazione del reato, per non essersi perfezionata la
fattispecie tipizzata – dell’impossessamento, mediante sottrazione, della cosa
altrui – in quanto l’agente non ha conseguito l’autonoma ed effettiva
disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di
controllo diretto del soggetto passivo, la cui “signoria sulla cosa” non è stata
eliminata.
La Cassazione ha così espresso il seguente principio di diritto: “il monitoraggio nella attualità della azione
furtiva avviata, esercitato sia mediante la diretta osservazione della persona
offesa (o dei dipendenti addetti alla sorveglianza o delle forze dell’ordine
presenti in loco,), sia mediante appositi apparati di rilevazione automatica del
movimento della mercé, e il conseguente intervento difensivo in continenti, a
tutela della detenzione, impediscono la consumazione del delitto di furto, che
resta allo stadio del tentativo, in quanto l’agente non ha conseguito, neppure
momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non
ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto del soggetto
passivo”.