mercoledì 12 giugno 2013

LA RESPONSABILITA' DEL COSTRUTTORE EX ART. 1669 C.C.

Il nostro codice civile disciplina, nell’ambito della normativa in materia di appalto, la responsabilità del costruttore in caso di “Rovina e difetti di cose immobili” (art. 1669 c.c.). Ai sensi della disposizione in oggetto, "quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, a causa di vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, oppure presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta" con prescrizione del diritto del committente stesso in un anno dalla denunzia medesima.
Ebbene, la Corte di Cassazione con la sentenza 14650/2013 ha stabilito che anche la formazione anomala di condensa, che provoca infiltrazioni di umidità, può portare il costruttore a dover risarcire il danno subito dall’acquirente dell’immobile.
Infatti, secondo la Suprema Corte, l’articolo 1669 c.c. (Rovina e difetti di cose immobili) non è applicabile soltanto nei casi di vizi strutturali ma anche per quelle fattispecie inerenti il semplice godimento della cosa. Dice la Corte: "costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte che i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell’edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione incidente sulla struttura e sulla funzionalità dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile”.
Secondo la costante giurisprudenza della Corte, costituiscono gravi difetti dell’edificio, al fine della responsabilità dell’appaltatore di cui all’art. 1669 c.c., non solo quelli che incidono in misura sensibile sulla struttura e funzionalità dell’opera, ma anche i vizi costruttivi che menomano apprezzabilmente il normale godimento della cosa (Cass. 4 maggio 1978, n. 2070), quelli cioè da cui deriva un apprezzabile danno alla funzione economica od una sensibile menomazione della normale possibilità di godimento dell’immobile che lo rendono inidoneo a fornire l’utilità cui è destinato (Cass. 11 febbraio 1998, n. 1393), senza che necessariamente debba sussistere anche il pericolo di un crollo immediato dell’edificio stesso (Cass. 20 marzo 1998, n. 2977).
L’incidenza negativa dei difetti costruttivi inclusi nell’art. 1669 c.c. può, dunque, consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” od il “pericolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica, i rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo.
E l’interpretazione della norma, afferma la Corte, “si è spinta fino a considerare rientranti nella nozione di gravi difetti anche le infiltrazioni d’acqua determinate da carenze d’impermeabilizzazione e da inidonea realizzazione degli infissi”, difetti che, senza richiedere opere di manutenzione straordinaria, possono essere eliminati solo con gli interventi di manutenzione ordinaria indicati dalla lettera a dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457 e cioè con “opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici” o con “opere necessarie per integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti”. 

mercoledì 5 giugno 2013

IL GENITORE CHE PICCHIA IL FIGLIO PER PUNIRLO COMMETTE IL REATO DI MALTRATTAMENTI

"L’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento dei minore, anche dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza gli estremi del delitto di maltrattamenti". E' quanto ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23396/13. Peraltro, continua la Cassazione, "non è nemmeno ipotizzabile che i comportamenti posti in essere dai due imputati fossero finalizzati ad imporre una qualche forma dl educazione, essendo stati improntati elusivamente all’insegna della violenza e della sopraffazione".