martedì 19 febbraio 2013

IL REATO DI MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA SUSSISTE ANCHE TRA CONIUGI SEPARATI

La Corte di Cassazione con la sentenza 6 novembre 2012 - 17 gennaio 2013, n. 2328 ha avuto modo di approfondire i requisiti del reato previsto e punito dall'art. 572 c.p. che così recita: "chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da due a sei anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici. Se dal fatto deriva una lesione personale grave [c.p. 583], si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni".
Da una prima lettura della norma potrebbe sembrare che un requisito essenziale di tale reato consista nella convivenza familiare del reo e della vittima.
Al contrario, con la citata sentenza, la Suprema Corte ha affermato che il reato di maltrattamenti in famiglia ben può integrarsi anche nell'ambito di un rapporto intercorrente tra ex coniugi.
Il caso vedeva un uomo sottoporre l'ex moglie a continui maltrattamenti, consistenti in episodi di minacce, persecuzioni e insulti, culminati anche in un episodio di violenza sessuale. L'uomo, dopo essere stato condannato sia in primo che in secondo grado, proponeva ricorso per Cassazione affermando come tali condotte non avrebbero potuto integrare il reato di maltrattamenti, costituendo lesioni e percosse, insieme ad ingiurie e atti persecuotri senza abitualità della condotta. Inoltre, la comunione di vita e la relativa convivenza dei due si era interrotta prima del compimento degli atti che si sussumevano come maltrattamenti in famiglia.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente il reato di maltrattamenti in famiglia, affermando che "il reato di maltrattamenti peraltro può sussistere anche quando la convivenza sia cessata e quindi anche dopo la separazione dei coniugi, che lascia integro il dovere di rispetto reciproco, di assistenza morale e materiale, di solidarietà nascenti dal rapporto coniugale".

mercoledì 13 febbraio 2013

CONDANNA PER L'AUTOMOBILISTA CHE RIFIUTA L'ALCOLTEST ANCHE SE SUCCESSIVAMENTE ACCONSENTE AL CONTROLLO

La Corte di Cassazione con la sentenza 6 febbraio 2013, n. 5909 ha affermato che deve essere condannato l'automobilista che si rifiuti di sottoporsi al test alcolemico, essendo irrilevante il fatto che in un momento successivo lo stesso si renda disponibile ad effettuarlo.
Secondo la Suprema Corte, il reato di rifiuto di sottoporsi al test alcolimetrico integra un reato istantaneo: si perfeziona, cioè, con il rifiuto dell'interessato; dunque, nel momento in cui il conducente ha espresso la sua indisponibilità a sottoporsi all'accertamento, lo stesso era perfezionato, essendo irrrilevante che l'imputato sia tornato sul posto ed abbia infine dichiarato una disponibilità a sottoporsi all'alcoltest, "dal momento che non esiste una sorta di ravvedimento operoso da parte di chi abbia già, con il comportamento di rifiuto, consumato il reato".

lunedì 4 febbraio 2013

NON COSTITUISCE ILLECITO PENALE GUIDARE IN ITALIA CON UNA PATENTE DI UNO STATO EXTRACOMUNITARIO IN CORSO DI VALIDITA'

La Corte di Cassazione con la sentenza 4189/2013 ha chiarito una volta di più che non commette alcun illecito penale (nella fattispecie l'illecito di guida senza patente) l'extracomunitario che guidi in Italia con una patente rilasciata dal proprio paese e perfettamente in corso di validità nello stesso.


La Suprema Corte ha ricordato che gli articoli 135 e 136 del Cds consentono la possibilità di sostituire la patente rilasciata da uno stato comunitario con la patente nazionale, una possibilità estesa anche a paesi non comunitari a condizione di reciprocità. Invece, nei casi di patenti non convertibili la Cassazione ha riassunto così le regole: a) lo straniero può guidare in Italia con la patente rilasciata da Paese straniero se valida e per il periodo di un anno dall’inizio della residenza in Italia; b) lo straniero residente in Italia da meno di un anno che guidi con patente straniera scaduta di validità, commette l’illecito amministrativo ex articolo 126 Cds, comma 7 (guida con patente con validità scaduta); c) lo straniero, residente in Italia da oltre un anno che guidi con patente straniera in corso di validità, commette l’illecito amministrativo assimilabile alla guida con patente italiana scaduta di validità (art. 126 Cds, comma 7). 


Solo in un determinato caso si verifica la violazione della norma penale: ossia, allorquando lo straniero, residente in Italia da oltre un anno, guidi con patente rilasciata da uno stato estero non più in corso di validità; solo in questo caso commette il reato contravvenzionale di guida senza patente.


La Cassazione ha aggiunto di essersi espressa ripetutamente in tale senso: il mio augurio è che questo principio di diritto sia finalmente recepito anche dai Tribunali.