venerdì 23 marzo 2012

LA COSTITUZIONE ITALIANA:LA PIU’ AFFASCINANTE DELLE LETTURE – ARTICOLO 28

Costituzione della Repubblica italiana, articolo 28: “i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici".


L'art. 28 della Costituzione stabilisce il principio della responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti pubblici per gli "atti compiuti in violazione di diritti": in virtù di questa norma la responsabilità della pubblica amministrazione per i danni arrecati ai privati cittadini dai suoi dipendenti o amministratori viene integrata dalla responsabilità diretta e personale del singolo agente pubblico nei riguardi del danneggiato.


Con tale norma la Costituzione intende sollecitare l'amministratore pubblico affinchè si responsabilizzi nei confronti dei soggetti amministrati ed abbia rispetto per i loro diritti.


La responsabilità personale e diretta del funzionario o del dipendente pubblico ricorre allorquando questo singolo soggetto, nell'esercizio dei suoi compiti istituzionali, abbia assunto un comportamento lesivo dei diritti del cittadino con dolo o colpa grave.


In questi casi, oltre alla responsabilità personale dell'agente pubblico, sussiste una responsabilità civile diretta in capo allo Stato o all'ente pubblico al quale appartiene il funzionario stesso: in tal modo la Costituzione intende garantire l'adempimento dell'obbligazione civile risarcitoria nascente dal fatto illecito posto in essere dal dipendente pubblico. Si tratta di una solidarietà passiva tra amministratore pubblico e pubblica amministrazione in relazione ai danni arrecati al cittadino: il danneggiato, dunque, può esperire l'azione risarcitoria sia nei confronti dell'autore materiale dell'illecito sia nei confronti dell'ente pubblico al quale esso appartiene.

giovedì 22 marzo 2012

LA CASSAZIONE TRASFORMA IN CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO IL RAPPORTO DI LAVORO TRA UN CALL CENTER ED UNA SUA LAVORATRICE PRECARIA

La Corte di Cassazione con la sentenza 21 marzo 2012 n. 4476 ha condannato una grande società del settore call center alla reintegra di una lavoratrice impiegata per ben 6 anni, dal 2001 al 2007, come “autonoma”. Per gli ermellini la natura di lavoro “a contratto” o “a progetto” non poteva essere sostenuta a causa del controllo “particolarmente accentuato ed invasivo” da parte dell’azienda.


La sezione lavoro della Suprema Corte ha, infatti, rigettato il ricorso della società datrice di lavoro, ribadendo che "elemento indefettibile del rapporto di lavoro subordinato è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato". I giudici hanno accertato come la lavoratrice "era pienamente inserita nell'organizzazione della società, utilizzando strumenti e mezzi di quest'ultima" e la sua attività "era sottoposta non tanto a generiche direttive ma ad istruzioni specifiche". Infine, "il concorso congiunto del sistema informatico, in grado di controllare l'attività deltelefonista in tutti i suoi aspetti, e della vigilanza dell'assistente di sala, mostrava l'esistenza di un controllo particolarmente accentuato ed invasivo, non usuale neppure per la maggior parte dei rapporti subordinati esistenti e quindi inconciliabile con il rapporto autonomo".

LA CASSAZIONE TRASFORMA IN CONTRATTO A TEMPO INDETERMINATO IL RAPPORTO DI LAVORO TRA UN CALL CENTER ED I SUOI LAVORATORI PRECARI

La Corte di Cassazione con la sentenza 21 marzo 2012 n. 4476 ha condannato una grande società del settore call center alla reintegra di una lavoratrice impiegata per ben 6 anni, dal 2001 al 2007, come “autonoma”. Per gli ermellini la natura di lavoro “a contratto” o “a progetto” non poteva essere sostenuta a causa del controllo “particolarmente accentuato ed invasivo” da parte dell’azienda.


La sezione lavoro della Suprema Corte ha, infatti, rigettato il ricorso della società datrice di lavoro, ribadendo che "elemento indefettibile del rapporto di lavoro subordinato è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato". I giudici hanno accertato come la lavoratrice "era pienamente inserita nell'organizzazione della società, utilizzando strumenti e mezzi di quest'ultima" e la sua attività "era sottoposta non tanto a generiche direttive ma ad istruzioni specifiche". Infine, "il concorso congiunto del sistema informatico, in grado di controllare l'attività deltelefonista in tutti i suoi aspetti, e della vigilanza dell'assistente di sala, mostrava l'esistenza di un controllo particolarmente accentuato ed invasivo, non usuale neppure per la maggior parte dei rapporti subordinati esistenti e quindi inconciliabile con il rapporto autonomo".



giovedì 8 marzo 2012

DORMIRE UBRIACO AL VOLANTE INTEGRA IL REATO DI GUIDA IN STATO DI EBBREZZA

La Corte di Cassazione con la sentenza 27 ottobre 2011-10 febbraio 2012, n. 5404 ha stabilito che integra il reato di guida in stato di ebbrezza anche il dormire con le mani ed il volto sul volante di un'auto in sosta.


Secondo la Suprema Corte, "il reato in esame risulta integrato allorché sia stata acquisita la prova della deliberata movimentazione del veicolo in area pubblica, tale da creare pericolo alla circolazione o anche solo ad intralciare il traffico, e che ciò può assumersi, non solo allorché la persona sia sorpresa nell'atto di condurre un veicolo, ma anche nei casi, come di specie, in cui essa si trovi, a bordo di un veicolo in sosta e nelle condizioni di ripartire, in alterate condizioni psicofisiche".


La Cassazione ha, dunque, ribadito i principi affermati in precedenza: "ai fini del reato di guida in stato di ebbrezza, rientra nella nozione di guida la condotta di chi si trovi all'interno del veicolo (nella specie, in stato di alterazione, nell'atto di dormire con le mani e la testa poste sul volante) quando sia accertato che egli abbia, in precedenza, deliberatamente movimentato il mezzo in area pubblica o quantomeno destinata al pubblico " (Cass. n. 10476/10); "in materia di circolazione stradale, deve ritenersi che la "fermata" costituisca una fase della circolazione, talché è del tutto irrilevante, ai fini della contestazione del reato di guida in stato di ebbrezza, se il veicolo condotto dall'imputato risultato positivo all'alcoltest fosse, al momento dell'effettuazione del controllo, fermo ovvero in moto " (Cass. n. 37631/07).

mercoledì 7 marzo 2012

QUANDO LA SCUOLA E L'INSEGNANTE SONO RESPONSABILI DEL DANNO PROCURATO DALL'ALUNNO A SE' STESSO

La Corte di Cassazione con la sentenza 8 febbraio 2012, n. 1769 è tornata ad analizzare i presupposti della responsabilità in capo ad insegnante e scuola nel caso in cui l'alunno procuri un danno a sè stesso.


La vicenda trattata dalla Cassazione riguardava una ragazzina di 16 anni, la quale, dopo aver fumato uno spinello con i suoi compagni in gita scolastica, ha scavalcato il parapetto di un balcone di un albergo, per fare una passeggiata notturna sulla terrazza scarsamente illuminata. L'alunna cadeva dalla terrazza medesima, riportando gravissime ferite con conseguente invalidità totale.


La Suprema Corte ha ritenuto responsabile del danno la scuola e l'insegnante (oltre all'albergatore), in base ai seguenti principi:


1) "in relazione alla responsabilità civile dei maestri e dei precettori, per superare la presunzione di responsabilità che, ai sensi dellart. 2048 c.c., grava sull’insegnante per il fatto illecito dell’allievo, non è sufficiente per l'insegnante la sola dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l’inizio della serie causale sfociante nella produzione del danno, "ssendo necessario anche dimostrare di avere adottato tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo favorevole al determinarsi di detta serie causale";


2) "nel caso di danno cagionato dell’alunno a sé medesimo, la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che – quanto all’istituto scolastico- l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo alla scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso";


3) "tra l'insegnante e l'allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona; "pertanto, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’istituto scolastico e dell’insegnate, è applicabile il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 cod. civ., sicché, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante".