mercoledì 25 gennaio 2012

ILLEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE SE L'AZIENDA LO SOSTITUISCE CON UN LAVORATORE A PROGETTO

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 755 del 19 gennaio 2012 ha ritenuto "illegittimo il licenziamento di un lavoratore quando l’azienda, a fronte di una seppur non ingente diminuzione dei servizi gestiti in appalto, affida il servizio prima svolto dal lavoratore licenziato ad un collaboratore a progetto già in forze presso la medesima impresa al fine di effettuare un evidente risparmio sui costi". La sola necessità di ridurre i costi, infatti, non giustifica il recesso se questo viene “mascherato” con insussistenti ragioni attinenti alla riorganizzazione dell’attività.

giovedì 19 gennaio 2012

LA COSTITUZIONE ITALIANA:LA PIU’ AFFASCINANTE DELLE LETTURE – ARTICOLO 27

Costituzione della Repubblica italiana, articolo 27: "La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte".


Il principio di "personalità della responsabilità penale" rappresenta il principio fondamentale per l'imputazione soggettiva del fatto illecito: affermando che "la responsabilità penale è personale", l'articolo 27 della Costituzione, di fatto, rende inammissibile qualsiasi forma di responsabilità per fatto altrui; il soggetto sottoponibile a pena non può essere che l'autore del fatto illecito. Tale principio svolge una funzione di garanzia: quella di impedire che taluno posa essere sottoposto a sanzioni penali in conseguenza di eventi non riconducibili alla sua sfera di azione e di potenziale controllo personale. Il principio di "personalità della responsabilità penale" esige, dunque, quale presupposto della responsabilità, la "colpevolezza soggettiva"; quest'ultima si manifesta in due forme: dolo (sussistente quando la persona che ha commesso l'azione o l'omissione, prevista dalla legge come reato, ha voluto l'evento dannoso o pericoloso) o colpa (sussistente quando l'evento dannoso o pericoloso non è voluto dall'agente ma si verifica a causa della sua negligenza o imperizia o imprudenza).


L'articolo 27 della Costituzione pone anche il principio di "presunzione d'innocenza" laddove afferma che "l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva". Da ciò discende che, in pendenza del processo, l'imputato ha diritto di essere trattato alla stregua di qualsiasi altra persona, senza alcun pregiudizio di colpevolezza che possa socialmente o moralmente sminuirlo nei confronti degli altri cittadini, sino al momento in cui non intervenga una condanna definitiva a sancire la sua responsabilità come autore di un illecito penale. Inoltre, la "presunzione di non colpevolezza" comporta l'onere della prova sia a carico dell'accusatore, nel senso che non è l'imputato a dover provare la propria innocenza ma è l'antagonista a doverne provare la colpevolezza.


Qualora l'imputato venga riconosciuto colpevole del reato ascrittogli "la pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato": con tale affermazione la Costituzione introduce il principio della "tendenza rieducativa della pena".  Rieducare il condannato significa riattivare il rispetto dei valori fondamentali della vita sociale; la rieducazione non può essere intesa se non come sinonimo di "recupero sociale", di "reinserimento sociale", di "risocializzazione". La Costituzione ha, così, voluto espressamente bandire ogni trattamento disumano e crudele che non sia inscindibilmente connesso alla restrizione della libertà personale. E come corollario del principio di umanizzazione, nello stesso art. 27 della Costituzione è espressamente escluso il ricorso alla pena di morte.

martedì 17 gennaio 2012

DOMANDA CONGIUNTA DI DIVORZIO:E' SEMPRE NECESSARIA L'ASSISTENZA DELL'AVVOCATO

La Corte di Cassazione con la sentenza  7 dicembre 2011, n. 26365 ha affermato come per la regolarità dell’istanza di divorzio, anche quando essa sia presentata in via congiunta dalle parti, sia sempre necessaria la presenza dell’avvocato.


E’ stata respinta, quindi, la tesi in base alla quale la difesa di un legale non sarebbe necessaria in quanto la domanda congiunta di scioglimento degli effetti civili del matrimonio darebbe origine ad un procedimento camerale di volontaria giurisdizione.


La Suprema Corte afferma che “il carattere decisorio del provvedimento del giudice, attribuendo al relativo procedimento came­rale natura contenziosa anziché volontaria, comporta l'applicazione della regola della necessità della dife­sa tecnica, come per tutti gli altri giudizi contenzio­si regolati secondo il rito ordinario. Nel caso dello scioglimento o cessazione degli ef­fetti civili del matrimonio chiesto congiuntamente dai coniugi, la decisorietà del provvedimento che lo dispo­ne è evidente, trattandosi di provvedimento che incide sicuramente su diritti soggettivi ed è assunto con sen­tenza destinata a passare in giudicato”.


A differenza di quanto avviene nel procedimento per separazione consensuale in cui l’effetto viene prodotto dalla volontà delle parti, nella ipotesi di divorzio è il tribunale che, in seguito alla verifica della sussistenza dei presupposti di legge, prende la decisione in merito.


E’, quindi, nulla, per la Suprema Corte, la sentenza di divorzio nel caso in cui la domanda di divorzio venga sottoscritta solamente dalle parti personalmente.

martedì 3 gennaio 2012

I GENITORI CHE INTENDONO ADOTTARE UN MINORE NON DEVONO AVERE PRECLUSIONI CIRCA LE CARATTERISTICHE DEL MINORE STRANIERO

La Cassazione, con sentenza n. 29424 depositata il 28 dicembre 2011, ha rigettato il ricorso avanzato da una coppia di coniugi avverso la decisione con cui la Corte d'appello di Bologna aveva confermato il provvedimento di rigetto della domanda di idoneità all'adozione internazionale dai medesimi proposta in considerazione delle preclusioni manifestate dai due sulle possibili caratteristiche di un ipotetico minore straniero da adottare.


La Corte di appello aveva fondato la sua decisione sulle preclusioni, manifestate dai coniugi ed emerse dal verbale della loro audizione davanti al tribunale per i minorenni, sulle possibili caratteristiche di un ipotetico minore straniero adottando: no a religione di origine diversa da quella cattolica; no a bambini figli di pazienti psichiatrici; no ad un bambino di origine rom per le difficoltà di carattere che renderebbero difficile imporsi ed assumere posizioni diverse, perplessità rispetto ad un bambino di colore. Aveva ritenuto in particolare che tali preclusioni denotassero un atteggiamento spaventato e difensivo dei coniugi di fronte a incognite che nella adozione sono possibili se non altamente probabili e che invece non possono sussistere affinché possa esservi quella accettazione totale e senza riserve che è il presupposto necessario per un buon incontro adottivo.