giovedì 26 maggio 2011

LA COSTITUZIONE ITALIANA: LA PIU' AFFASCINANTE DELLE LETTURE - ARTICOLO 19


Costituzione della Repubblica italiana, articolo 19: "Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume".
L'articolo 19 della nostra Costituzione garantisce la libertà di culto
ad ogni individuo: tutti, cittadini italiani e non, hanno diritto di professare liberamente la propria fede. Il diritto di professare la propria fede religiosa è, dunque, parte dei diritti fondamentali di cittadini e di migranti, nonché di coloro che anche temporaneamente si trovano nel territorio dello Stato.
L'avverbio liberamente significa che nessuno può essere costretto a professare una fede; dunque, la Costituzione garantisce anche il diritto di non professare alcuna fede.
La libertà religiosa, nel suo nucleo fondante, è un diritto fondamentale ed inviolabile della persona ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione (come ha sostenuto anche la Corte costituzionale). In quanto tale, è considerato irrinunciabile e indisponibile.
La libertà di culto si estende a tutte le attività generalmente collegate ad esso, dal proselitismo ai rituali, e abbraccia sia i fenomeni religiosi indivuduali che quelli in forma associata.
La professione di fede deve essere, dunque, intesa in senso ampio, non solo come manifestazione del proprio credo, ma anche come messa in pratica dello stesso: la tutela costituzionale, perciò, investe non solo l’aspetto statico dell’adesione ad una fede, ma anche quello dinamico dei comportamenti conseguenti ad essa, tra i quali rientra anche il diritto di unirsi in gruppi con finalità religiose.
La facoltà di professare una fede comporta la libertà di dichiarare in privato e in pubblico i principi religiosi o filosofici cui l’individuo o il gruppo aderiscono, di manifestare l’appartenenza ad una o a nessuna confessione, di tenere un comportamento coerente con tali principi. Ma comporta anche la possibilità di non farlo o di farlo solo privatamente.
L’esercizio del culto è imprescindibile dal diritto di farne propaganda: proprio per tale ragione l'articolo 19 della Costituzione garantisce il diritto di proselitismo.
Pacifico il diritto di esercitare in privato il culto
, la Costituzione si spinge sino a garantire anche l'esercizio in pubblico del culto
.  E per esercitare il culto le confessioni e i credenti devono poter disporre di spazi idonei a svolgere tale attività. Ne deriva l’obbligo per lo Stato non solo di consentire ma anche di facilitare la disponibilità di edifici di culto, in quanto in essi si esercita una attività delle formazioni sociali a carattere religioso.
L'articolo 19 pone un solo limite alla libertà religiosa e, cioè, che non si pongano in essere riti contrari al buon costume.
Occorre immediatamente sottolineare che la Costituzione vieta solo l'espressione esterna, ossia il rito, contraria al buon costume. Il rito è un insieme di regole, in un determinato contesto sociale, per manifestare i valori che si perseguono. Quando il rito è contrario al buon costume non si può esercitare, ma resta la libertà di religione. In altre parole, l’esternalizzazione di una confessione religiosa contraria al buon costume non è ammessa, ma la fede interiore è sempre ammessa.
Dunque, è tutelata dalla Costituzione la libertà religiosa di colui che abbraccia idealmente principi contrari al buon costume, purchè non ponga in essere tali principi con manifestazioni concrete che offendano la pubblica morale. Il fatto che una religione preveda la poligamia, ad esempio, è contrario al buon costume, ma finché la contrarietà al buon costume è a livello teorico, si rimane nella libertà di pensiero; quando, invece, si esplica in un rituale, si incontra il limite posto dall'articolo 19.
Sono considerati riti contrari al buon costume quelli che ledono la morale sessuale. Inoltre possono essere qualificati tali anche quelli che ledono la salute fisica e psichica delle persone.

Non bisogna, poi, dimenticare che riguardo alla libertà di esercizio del culto entrano in gioco ulteriori limiti, a cominciare dal rispetto dei diritti e delle libertà altrui. Così, non solo non potranno essere ritenuti legittimi riti nei quali si danneggi la vita o l’integrità fisica di soggetti anche consenzienti o di animali, ma nemmeno pratiche di culto espletate in modo tale da arrecare rilevante disturbo a terzi.





 

mercoledì 25 maggio 2011

IL COMUNE E' RESPONSABILE PER IL DANNO PROCURATO DA UNA BUCA DEL MANTO STRADALE RESA ANCORA PIU' INSIDIOSA DALLA PIOGGIA


La Corte di Cassazione con la sentenza n. 11430 depositata il 24 maggio 2011 ha ritenuto responsabile il Comune (ente proprietario della strada) per le lesioni conseguenti ad una caduta causata da una buca, presente nel manto stradale, non visibile perchè coperta, al momento dell'incidente, dall'acqua piovana.
La Suprema Corte ha ribaltato la decisione della Corte d'Appello, che aveva respinto la domanda della persona infortunatasi, spiegando che i giudici di merito avevano errato nel ritenere “come causa idonea ad esimere l’ente pubblico da responsabilità una circostanza di fatto che ha invece aggravato gli effetti del vizio di manutenzione”.
Per i Giudici della Cassazione "la Corte d'Appello ha confuso un evento (normale e largamente prevedibile) che ha contribuito a causare il danno (la pioggia che, nascondendo le asperità del suolo, le ha rese ancora più insidiose) con una causa di interruzione del nesso causale, quasi che si trattasse di evento esterno e non controllabile, di per sè solo sufficiente a causare il danno".

 

martedì 17 maggio 2011

IL SINGOLO CONDOMINO PUO' PROPORRE APPELLO AVVERSO UNA SENTENZA DI CONDANNA DEL CONDOMINIO


La Corte di Cassazione con la sentenza n. 10717 del 16 maggio 2011 ha stabilito che “configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, l'esistenza dell'amministratore non priva i singoli condomini della facoltà di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti all'edificio condominiale”.
Questa decisione è stata assunta in un caso che ha riguardato un condominio condannato in primo grado al risarcimento di danni patrimoniali lamentati da parte attrice; avverso tale sentenza hanno proposto appello autonomamente soltanto alcuni dei condomini.
Ebbene, per la Cassazione i condomini, che devono essere considerati non terzi ma parti originarie, possono intervenire nel giudizio la cui difesa dei diritti sulle parti comuni sia stata già assunta dall'amministratore e, inoltre, possono ricorrere all'autorità giudiziaria autonomamente, sia nel caso di inerzia dell'amministratore, sia quando gli altri condomini non intendano agire o resistere in giudizio. 
Dunque anche i singoli condomini “possono esperire i mezzi di impugnazione necessari ad evitare gli effetti sfavorevoli della pronuncia resa nei confronti dell'amministratore”.

giovedì 12 maggio 2011

LA COSTITUZIONE ITALIANA: LA PIU' AFFASCINANTE DELLE LETTURE - ARTICOLO 18


Costituzione della Repubblica italiana, articolo 18: "I cittadini  hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare".
L'articolo 18 della nostra Costituzione garantisce a tutti i cittadini il diritto di costituirsi in associazioni: per associazione si intendono quelle formazioni sociali che hanno una base volontaria ed un nucleo di organizzazione e di stabilità (in tale ultimo aspetto differiscono dalle riunioni). Questo diritto, che si ricollega a quanto già affermato dall'art. 2 ("la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle forme sociali ove sisvolge la sua personalità), investe tutte le forme associative, dalle associazioni sportive alle società commerciali, dalle fondazioni ai partiti.
La Costituzione pone tre fondamentali garanzie al diritto di associazione.
Innanzitutto, l'adesione alle associazioni deve essere libera, ossia non deve essere obbligatoria per il cittadino: si tratta, dunque, di una libertà negativa (il cittadino ha il diritto di non associarsi). Nonostante ciò, la Corte Costituzionale ha ritenuto conforme all'art. 18 l'esistenza di associazioni di fatto obbligatorie cui è necessario aderire per svolgere determinate attività professionali (si pensi all'ordine dei medici, degli avvocati, dei giornalisti ecc.): tale interpretazione mi trova completamente in disaccordo. L'adesione a qualsiasi tipo di associazione deve essere assolutamente libera e la volontà di non aderire ad una di esse non deve comportare alcuna conseguenza negativa per il cittadino.
In secondo luogo, la creazione dell'associazione può avvenire senza autorizzazione: non vi può essere alcun intervento delle autorità pubbliche che condizioni la creazione di un'associazione ad una propria valutazione, concessione o autorizzazione.
La terza garanzia riguarda il fine per il quale un'associazione viene costituita: ebbene, la Costituzione esclude che la legge possa porre limiti o divieti specifici per le associazioni, le quali possono perseguire tutti i fini che anche i singoli possono perseguire, con l'unico limite del rispetto della legge penale. Possono, dunque, essere vietate solo le associazioni che hanno come scopo la commissione di reati previsti dalla legge penale.
L'articolo 18 espressamente proibisce la creazione di associazioni segrete o paramilitari.
Per associazioni segrete (come recita la legge 17/1982, chiamata "legge P2") si intendono "quelle che, anche all'interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità o attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto o in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull'esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche di ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonchè di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale".
Le associazioni paramilitari, invece, sono quelle che perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare: dunque, la Costituzione proibisce il perseguimento di scopi politici a tutte le organizzazioni che abbiano una struttura di carattere militare. E per aversi una struttura di carattere militare non è necessario possedere armi o divise, essendo sufficiente l'esistenza di una struttura gerarchica suddivisa in gradi e di una disciplina analoga a quella militare.

mercoledì 11 maggio 2011

LA CASSAZIONE TUTELA IL PEDONE INVESTITO MENTRE ATTRAVERSA L'INCROCIO COL SEMAFORO ROSSO


La Corte di Cassazione con la sentenza n.9683 del 3 maggio 2011 ha accolto il ricorso di un pedone investito mentre atravversava un incrocio con semaforo rosso da un automobilista, stabilendo che il conducente del veicolo a motore è obbligato a mantenere in ogni caso una condotta di guida prudente, tale da potere prevenire eventuali incidenti. Pertanto anche un pedone che attraversa con il rosso, ma in maniera "prevedibile", viene tutelato dalla legge.
Tale decisione, che a prima vista parrebbe eccessivamente onerosa per gli automobilisti, risulta perfettamente coerente con la norma generale di cui all'art. 2054 c.c. che stabilisce che "il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno". 
Dunque, il principio generale è il seguente: il conducente di un veicolo senza guida di rotaie (sono, perciò esclusi i tram, i quali per loro stessa natura hanno precedenza su gli altri veicoli, potendo contare su un sistema frenante meno efficiente) subisce una presunzione di legge che gli impone di risarcire il danno prodotto a cose o persone salvo che provi di avere fatto qualsiasi cosa nelle proprie possibilità per evitare il danno e di non esservi riuscito per una circostanza indipendente dalla propria volontà.
La Suprema Corte, nella sentenza de quo, afferma che "la responsabilità del conducente, prevista dall'art. 2054 c.c, è esclusa solo quando risulti provato che non vi era, da parte di quest'ultimo, alcuna possibilità di prevenire l'evento, situazione questa ricorrente allorchè il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicchè l'automobilista si sia trovato nell'oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti".
Dunque, se l'automobilista, sopraggiungendo ad un incrocio ed avendo luce semaforica verde, si avvede dell'illecito attraversamento del pedone, che avrebbe invece dovuto restare fermo stante la propria luce rossa, oppure ha anche solo il sospetto che il pedone possa volere indebitamente attraversare, ebbene il conducente del veicolo deve usare la massima diligenza e deve fare tutto ciò che è possibile per evitare un qualsiasi danno al pedone.
La Corte ha, infatti, espressamente sancito che "nel caso in cui il conducente impegni un incrocio regolato con luce verde in suo favore, permane a suo carico un obbligo di diligenza nella condotta di guida che deve tradursi nella necessaria cautela richiesta dalla comune prudenza e dalle concrete condizioni esistenti all'incrocio".

venerdì 6 maggio 2011

LA CARTA DI SOGGIORNO DI FAMILIARE EXTRACOMUNITARIO DI CITTADINO ITALIANO O DELL'UE


Ai sensi del decreto legislativo n. 30/2007, se una persona è un familiare straniero extracomunitario (parola veramente sgradevole) di un cittadino italiano o di un cittadino dell’Unione Europea  e ha fatto regolare ingresso in Italia, può richiedere direttamente alla Questura, o tramite ufficio postale,  la  carta di soggiorno per familiare di cittadino UE.
In tal caso occorre compilare il
modulo di domanda e allegare: 1) la fotocopia del passaporto o di un documento equipollente, completo di visto ove richiesto; 2) 4 fotografie formato tessera; 3) la fotocopia di un documento che attesti la qualità di familiare e, ove richiesto, di familiare a carico; 4) la fotocopia  di richiesta di iscrizione anagrafica del familiare cittadino dell’Unione.
I familiari stranieri di cittadino dell’Unione che possono chiedere tale carta di soggiorno sono: 1) il coniuge; 2) i discendenti diretti di età inferiore ai 21 anni o a carico e quelli del coniuge; 3) gli ascendenti diretti a carico e quelli del coniuge.
Dunque, una persona extracomunitaria può ottenere questo tipo di permesso innanzitutto se ha sposato un cittadino italiano o avente la cittadinanza UE.
Stesso diritto vale per lo straniero che risulta essere il figlio (o il nipote) di un cittadino italiano (o avente la cittadinanza UE), ed anche per lo straniero che risulta essere il figlio (o il nipote) del coniuge straniero di un cittadino italiano (o avente la cittadinanza UE).
Infine, può ottenere questa carta di soggiorno lo straniero che risulta essere il genitore (o il nonno) di un cittadino italiano o il genitore (o il nonno) del coniuge straniero di un cittadino italiano (ad esempio, il genitore venezuelano di un uomo che ha sposato una donna italiana).

giovedì 5 maggio 2011

LA COSTITUZIONE ITALIANA: LA PIU' AFFASCINANTE DELLE LETTURE - ARTICOLO 17


Costituzione della Repubblica italiana, articolo 17: "I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica".
I diritti che attengono alla sfera pubblica dell'individuo sono posti a tutela della dimensione sociale della persona. Essa si esprime in due direzioni: da un lato, nella libertà di espressione del proprio pensiero (art. 21 Cost.) e, dall'altro, nella libertà di riunirsi (art. 17 Cost.) e di associarsi (art. 18 Cost.), dando luogo a quelle formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell'individuo (art. 2 Cost.).
Tali libertà sono connesse all'iniziativa politica delle persone, perciò la loro tutela ha il doppio significato di garantire la sfera di interessi sociali dei cittadini ma anche di garantire il buon funzionamento del dibattito democratico.
Dunque, l'articolo 17 della Costituzione assicura a tutti i cittadini la libertà di riunirsi pacificamente e senza armi.
Per riunione si intende la compresenza volontaria di più persone nello stesso luogo: è da considerarsi riunione, perciò, un corteo (di fatto, una riunione in movimento) oppure una processione religiosa oppure un'assemblea, un comizio od un convegno.
La Costituzione pone due condizioni al diritto di riunirsi: 1) che la riunione avvenga in modo pacifico, dunque, non al fine di provocare tumulti, guerriglia, disordini o interruzioni di pubblici servizi; 2) che non vengano utilizzate armi, intese come tutti quegli strumenti chiaramente in grado di essere utilizzate per nuocere e provocare lesioni.
Dunque, se la riunione rispetta le due suddette condizioni è perfettamente legittima e assolutamente libera.
A seconda del luogo in cui si svolgono, le riunioni si distinguono in riunioni in luogo privato, riunioni in luogo aperto al pubblico e riunioni in luogo pubblico.
Le prime sono quelle che si svolgono in luoghi di privata dimora, pertanto il loro svolgimento è garantito dalla libertà di domicilio sancita dall'art. 14 della Costituzione.
Le riunioni in luogo aperto al pubblico sono, invece, quelle che si svolgono in luoghi in cui l'accesso del pubblico è regolamentato da chi ne ha la disponibilità (ad esempio, si pensi ad un cinema o ad uno stadio). Ebbene, per queste riunioni non è richiesto alcun preavviso alle autorità di pubblica sicurezza.
Da ultimo, le riunioni in luogo pubblico sono quelle che si svolgono in quei luoghi in cui ognuno può transitare liberamente, come le strade e le piazze. Perciò la libertà di riunione può entrare in conflitto con la libertà di circolazione: ed è per tale ragione che l'articolo 17 della Costituzione prevede l'obbligo del preavviso. In particolare, i promotori della riunione debbono dare preavviso in forma scritta almeno tre giorni prima al questore, con l'indicazione del luogo, dell'ora e dell'oggetto della riunione.
Tuttavia, occorre sottolineare che si tratta di preavviso e non di autorizzazione: dunque, una riunione che avvenga senza il dovuto preavviso è comunque legittima; semmai la conseguenza sarà una responsabilità degli organizzatori per non avere assolto al'obbligo di preavviso.
Una volta data comunicazione della prossima riunione all'autorità di pubblica sicurezza, questa può vietare preventivamente la riunione stessa "soltanto per comprovati motivi di sicurezza e incolumità pubblica". Dunque, solo un provvedimento motivato (impugnabile davanti ad un giudice) che attesti la pericolosità per la sicurezza pubblica della riunione può impedirne lo svolgimento.

mercoledì 4 maggio 2011

IL BAMBINO HA DIRITTO AL RISARCIMENTO PER LA MORTE DEL GENITORE AVVENUTA PRIMA DELLA SUA NASCITA


La Corte di Cassazione con la sentenza n. 9700 del 3 maggio 2011 ha accolto il ricorso presentato da una ragazza che aveva agito giudizialmente per vedersi riconoscere il risarcimento dei danni per la perdita del padre, avvenuta, a seguito di un incidente stradale, quando la stessa era stata solo concepita.
La Suprema Corte ha ritenuto che non potesse porsi alcun problema relativo “alla soggettività giuridica del concepito, non essendo necessario configurarla per affermare il diritto del nato al risarcimento”. Ed invero, la relazione col proprio padre naturale integra un rapporto affettivo ed educativo che la legge protegge “perché è di norma fattore di più equilibrata formazione della personalità”.
Per la Corte, al figlio cui sia impedito di svilupparsi in questo rapporto può derivare un pregiudizio che costituisce, di per sé, “un danno ingiusto indipendentemente dalla circostanza che egli fosse già nato al momento della morte del padre o che, essendo solo concepito, sia nato successivamente”.
Fissato, conseguentemente, il seguente principio di diritto: “anche il soggetto nato dopo la morte del padre naturale, verificatasi durante la gestazione, per fatto illecito di un terzo, ha diritto, nei confronti del responsabile, al risarcimento del danno per la perdita del relativo rapporto e per i pregiudizi di natura non patrimoniale e patrimoniale che gli siano derivati”.