giovedì 16 dicembre 2010

LA COSTITUZIONE ITALIANA: LA PIU' AFFASCINANTE DELLE LETTURE - ARTICOLO 6


Costituzione della Repubblica italiana, articolo 6: "La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche".
Questo articolo richiama l'articolo 3 della Costituzione, il quale afferma che tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge senza distinzione, fra le altre cose, di lingua. L'articolo 6, dunque, impone alla Repubblica di tutelare in modo particolare i cittadini che parlano una lingua diversa dall'italiano.
Le minoranze linguistiche della Repubblica Italiana, infatti, sono le comunità storicamente insediate sul nostro territorio che parlano una lingua diversa rispetto alla lingua italiana.
La
legge 482/1999 riconosce l'esistenza di dodici minoranze linguistiche definite "storiche" e ne ammette a tutela le rispettive lingue.
Alcune delle lingue minoritarie riconosciute dalla legge 482/1999 avevano già ricevuto in precedenza riconoscimenti mediante leggi statali (la lingua tedesca e la lingua ladina in Trentino-Alto Adige, la lingua slovena in Friuli-Venezia Giulia, la lingua francese in Valle d'Aosta, la lingua albanese presente nel meridione e rappresentante della lingua minoritaria più parlata in Italia) o leggi regionali (la lingua friulana in Friuli-Venezia Giulia, la lingua sarda in Sardegna). Altre lingue (come il Veneto, il Piemontese, le lingue dei Rom e dei Sinti, le lingue degli immigrati recenti, ecc...) trovano quindi tutela solo nella legislazione regionale.
La legge 482/1999 stabilisce che, proprio in attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princípi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo.
Laddove sono presenti gruppi linguistici appartenenti alle suddette categorie la legge ne agevola l'uso nei luoghi pubblici e l'insegnamento nelle scuole.
Anche sotto l'aspetto linguistico, dunque, la Repubblica ha il dovere di assicurare l'uguaglianza di tutti i suoi cittadini.

 

CENNI SULLA CLAUSOLA COMPROMISSORIA


L'art. 808 c.p.c. stabilisce che "le parti, nel contratto che stipulano o in un atto separato, possono stabilire che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri".
Dunque, il codice di procedura civile stabilisce che, convenzionalmente, le parti di un contratto possono decidere di prevedere all'interno del contratto stesso una clausola che li obblighi a devolvere la decisione sulle eventuali controversie nascenti ad un collegio di arbitri, derogando, quindi, alla competenza per materia e per territorio del relativo Tribunale.
Dalla clausola compromissoria deriva quindi l'arbitrato: esso è un procedimento stragiudiziale (cioè senza ricorso a processo ordinario) per la soluzione di controversie civili e commerciali, svolta mediante l'affidamento di un apposito incarico ad uno o più soggetti terzi rispetto alla controversia, detti arbitri, normalmente in numero di 3, di cui 2 scelti da ciascuna delle parti ed il terzo di nomina da parte di una persona al di sopra delle parti, i quali producono una loro pronuncia, detta lodo, che contiene la soluzione del caso ritenuta più appropriata.
L'art. 808 c.p.c. precisa che "la validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce": dunque, la clausola compromissoria è una clausola indipendente, essa cioè non viene intaccata dalla nullità del contratto. In altre parole: se il contratto è nullo la clausola compromissoria non viene intaccata ma rimane valida ed efficace.
In molti casi (si pensi ai contratti preliminari standard predisposti dalle agenzie immobiliari) la presenza della clausola compromissoria impone di prestare attenzione agli art. 1341 e 1342 c.c.
Ricordiamoci sempre che (a norma dell'art. 1 c.p.c.) la giurisdizione (ossia, lo ius dicere, il giudicare) è esercitata dai giudici ordinari. A questa regola generale, come abbiamo visto, è possibile derogare: tuttavia, una scelta di questo tipo (andando ad incidere su un diritto fondamentale spettante ad ogni cittadino) deve essere fatta con coscienza e volontà dalle parti.
In questa logica si inserisce l'art. 1341 c.c., il quale dispone che "non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria". E sempre alla stessa logica si ispira l'art. 1342 c.c. che impone la specifica approvazione per iscritto all'interno dei contratti conclusi mediante moduli o formulari delle clausole compromissorie.
E' ovvio che imporre una specifica approvazione di siffatte clausole da parte dei contraenti  persegue lo scopo di tutelare la parte contrattualmente più debole, che potrebbe essere indotta a sottoscrivere un contratto contenente disposizioni lesive dei propri interessi.



 

L'AFFIDO CONDIVISO E' DEROGABILE SOLO IN PRESENZA DI CIRCOSTANZE GRAVI LESIVE DEGLI INTERESSI DEL MINORE


Con l’ordinanza 2 dicembre 2010, n. 24526 la Corte di Cassazione ha stabilito che la lontananza tra le residenze dei genitori non può costituire ragione di deroga all'affidamento condiviso del minore.
Il caso trattato dall Cassazione riguardava un padre bresciano che aveva proposto ricorso avverso la sentenza di affidamento monogenitoriale della figlia, in favore della ex convivente rumena.
Il principio affermato dalla Corte Suprema, si innesta in un filone consolidato della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’affidamento condiviso rappresenta ormai la regola generale, eludibile solo in presenza di gravi ed accertate ragioni: l’affidamento esclusivo sarebbe un’ipotesi residuale, applicabile solo in presenza di circostanze tali da far ritenere contrario all'interesse del minore l'affidamento condiviso, ad esempio in caso di manifesta carenza o inidoneità educativa di uno dei genitori.
La Suprema Corte, infatti, ha affermato che “alla regola dell'affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti "pregiudizievole per l'interesse del minore", con la duplice conseguenza che l'eventuale pronuncia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell'altro genitore".
E non assume rilievo ai fini della pronuncia di affidamento la distanza tra le abitazioni dei genitori.
La Cassazione ha stabilito, al riguardo, che "l'oggettiva distanza esistente tra i luoghi di residenza dei genitori non preclude la possibilità di un affidamento condiviso del minore ad entrambi i genitori, potendo detta distanza incidere soltanto sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascun genitore (artt. 155, comma 2, e 155 quater, comma 2, cc)

LA CASSAZIONE SUL TERMINE RIGUARDANTE LA NOTIFICA DELLE MULTE STRADALI


Le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione hanno fatto luce sul termine iniziale da cui iniziare per conteggiare i 150 giorni utili, ora scesi a 90, per effettuare una notifica valida del verbale di contestazione della violazione al codice della strada, nel caso in cui il soggetto responsabile abbia cambiato residenza.
Il contrasto esistente tra le sezioni semplici attiene alla decorrenza del termine suddetto: secondo un orientamento maggioritario il giorno iniziale è da intendersi quello nel quale il trasgressore ha comunicato all'anagrafe dello stato civile il cambio di residenza; una tesi minoritaria ritiene che il cittadino debba effettuare la comunicazione anche al Pra e pertanto il termine per la notifica decorra dall'annotazione in tale registro.


La sentenza n. 24851 del 9 dicembre 2010 ha risolto la diatriba ammettendo, a favore del cittadino, che questi sia tenuto solo a richiedere l'annotazione del cambio di residenza all'anagrafe e che competa a tale ufficio comunicare le modifiche al Pra. In conclusione il termine iniziale per la notifica della multa decorre data di annotazione della residenza negli atti dello stato civile.

giovedì 9 dicembre 2010

LA COSTITUZIONE ITALIANA: LA PIU' AFFASCINANTE DELLE LETTURE - ARTICOLO 5


Costituzione della Repubblica italiana, articolo 5: "La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento".
L'articolo in esame, a mio parere, deve essere letto in chiave storica: senza una lettura che parta dalla conoscenza dell'evoluzione politica della nostra nazione, sarebbe impossibile comprendere il significato di questo articolo.
Perchè sottolineare che l'Italia è una e indivisibile?
La risposta risiede nel fatto che l'Italia è sempre stata divisa: solo da 150 anni a questa parte il territorio italiano è stato riunificato sotto un unico centro di potere. Per centinaia di anni in quella che oggi definiamo Italia, si sono alternati imperi, regni, principati, repubbliche, ducati, signorie, comuni e con essi imperatori, principi, duchi, signori. La storia dell'Italia è una storia di profonde divisioni interne, di grandi lotte fratricide.
Senza andare molto indietro negli anni, rivolgiamo la nostra attenzione alla situazione pre unitaria di metà ottocento: vi era il Regno di Sardegna, il Regno Lombardo-Veneto, i Ducati di Modena, quello di Parma, il Granducato di Toscana, lo Stato Pontificio ed il Regno delle Due Sicilie. E ciò avveniva mentre nelle nazioni nostre confinante il principio dello stato unitario risultava essere ormai una lunga tradizione.
Dunque, l'Italia, in quanto stato unito, è una realtà giovanissima, proveniente da secoli di divisione (seppure vi siano sempre state lingue, tradizioni e culture molto simili lungo tutta la penisola).
In questo contesto si inserisce l'articolo 5 della Costituzione: esso sottolinea che l'Italia, unificata sotto il regno dei Savoia, è una repubblica unica ed indivisibile.
Tuttavia, proprio alla luce della storia della nostra nazione, storia che sembra essere riflessa dallo specchio di questo articolo, la Costituzione, riconoscendo le caratteristiche tipiche di ciascuna parte del territorio italiano, riconosce e promuove le autonomie locali. In sostanza, il federalismo (ossia l'idea che all'interno di uno stato esistano centri di potere a livello inferiore rispetto al potere centrale) è nel dna della nostra Repubblica e ciò è dovuto proprio al fatto che si tratta di uno stato sorto dall'unificazione di realtà distinte per secoli.
La Costituzione non avrebbe mai potuto ignorare le radici dell'Italia: per tale ragione sceglie di assecondare l'indole italiana del particolarismo.
Sempre in quest'ottica, perciò, rientra l'impegno assunto dallo Stato di attuare il più ampio decentramento amministrativo e di adeguare la propria legislazione alle esigenze di autonomia e di decentramento.

martedì 7 dicembre 2010

ANATOCISMO: LA PRESCRIZIONE DECENNALE DELL'AZIONE DECORRE DALLA DATA DI CHIUSURA DEL CONTO


La Corte di Cassazione, con la sentenza 24418/2010, ha stabilito che il correntista di una banca che intende far dichiarare la nullità della clausola che prevede interessi anatocistici e ripetere quanto indebitamente pagato ha dieci anni di tempo dalla chiusura del conto.
Si tratta di una sentenza molto importante, dai risvolti decisamente seri, quella in esame.
Si ricordi che per anatocismo (dal greco anà - di nuovo, e tokòs - interesse) si intende la capitalizzazione degli interessi su un capitale, affinché essi siano a loro volta produttivi di altri interessi (in pratica è il calcolo degli interessi sugli interessi): ovviamente, una pratica scorretta che però è stata applicata per decenni dalle banche, le quali hanno così ottenuto introiti extra, costringendo in molti casi privati o aziende a perdere tutto o una parte significativa del proprio patrimonio. E' evidente, infatti, che il calcolo degli interessi in regime di capitalizzazione composta anziché in regime di capitalizzazione semplice determini una crescita esponenziale del debito.
Fortunatamente dal 1999 la Corte di Cassazione, invertendo il proprio orientamento giurisprudenziale, ha più volte affermato la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale, dichiarando scorretta la pratica dell'anatocismo da parte degli istituti bancari.
La sentenza in esame costituisce un altro punto a favore dei correntisti, affermando che "il termine di prescrizione decennale, cui tale azione di ripetizione è soggetta, decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione rispristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati".

 

giovedì 2 dicembre 2010

LA COSTITUZIONE ITALIANA: LA PIU' AFFASCINANTE DELLE LETTURE - ARTICOLO 4


Costituzione della Repubblica italiana, articolo 4: "La Repubblica riconosce e garantisce il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società".
Questo articolo mette insieme alcune contrapposizioni (Repubblica e singolo, diritto e dovere, materialismo e spiritualità) ma è fondamentale perchè concerne un argomento essenziale per ogni civiltà: il lavoro. Ed il lavoro è ancora più essenziale in uno Stato come il nostro che (lo dice il primo articolo della Costituzione) è fondato sul lavoro.
Il lavoro, in realtà è uno strumento, un mezzo attraverso il quale l'uomo, il cittadino, riesce a raggiungere quei diritti e quelle libertà che la Repubblica afferma e garantisce: infatti, con il lavoro e con la sua equa retribuzione, il cittadino è messo nelle condizioni di poter mantenere se stesso e la propria famiglia, possedere un'abitazione, circolare liberamente, aderire ad associazioni, manifestare il proprio pensiero, studiare, conoscere, insomma rendere effettivi i diritti riconosciutigli sulla carta.
La Costituzione, per tale ragione, riconosce l'assoluta importanza del lavoro e non si limita ad affermarla ma impone a se stessa e allo Stato di adoperarsi per rendere effettivo il diritto al lavoro: lo Stato è chiamato a promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Dunque, la legislazione italiana è invitata a conformarsi a questo principio: il lavoro è un diritto e ogni cittadino deve essere messo nelle condizioni di potere svolgere un'attività; ovviamente questa attività deve consentire al cittadino di esplicare la propria personalità, di ottenere una equa retribuzione e di progettare il proprio futuro.
Secondo questa logica, pertanto, a parere dello scrivente risultano assolutamente lontane dal dettato costituzionale tutte quelle politiche volte direttamente o indirettamente a incentivare il precariato e la cosiddetta "flessibilità" (eufemismo usato per indicare l'assoluta impossibilità di ottenere una lavoro sicuro che consenta di progettare il proprio futuro). Sembra un concetto tanto ovvio, certamente in linea persino con i principi cristiani (che, lo sottolineo ancora una volta, sembrano, a mio parere, permeare la nostra Costituzione): l'uomo, a differenza dell'animale, pensa che esiste un domani e agisce oggi proprio in vista di quel domani; con il lavoro (fisso, non precario) l'uomo progetta il proprio futuro, cresce spiritualmente, intraprende un cammino. Non esiste precariato guardando al lavoro con gli occhi della Costituzione.
Nella seconda metà dell'articolo la Costituzione, dopo avere affermato il diritto del cittadino a possedere un lavoro, impone allo stesso un dovere sociale e morale: quello di svolgere un'attività o una funzione (a sua libera scelta) che concorra al progresso materiale e spirituale della società.
Dunque, il lavoro non è solo un diritto ma è soprattutto un dovere: costituisce ciò che occorre allo Stato per progredire sia dal punto di vista economico che morale. Perciò, ogni cittadino ha il dovere di fornire il proprio pezzettino di aiuto (ciascuno secondo le proprie capacità e possibilità) perchè la Repubblica cresca e prosperi.