venerdì 26 giugno 2009

LA RIVOLUZIONE PLANETARIA DI UN TIRANNO E ASSASSINO: IL VIDEO CLANDESTINO DI AHMADINEJAD

Il filosofo Bernard-Henri Lévy ha pubblicato un discorso inedito del leader iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Girato a Qom, all'indomani della presunta vittoria elettorale, questo video riprende un discorso di Ahmadinejad, pronunciato con « fanatismo tranquillo » alla presenza di una quindicina di religiosi iraniani, fra cui il suo mentore, l'ayatollah oltranzista Mesbah Yazdi.

«Un vero discorso di ispirazione fascista-messianica, perché seppur in modo diverso dal nostro in Europa quel mélange di culto della forza e di ossessione della purezza altro non è: fascismo». «Un chiaro annuncio del progetto di rivolgimento planetario e di esportazione della rivoluzione islamica nel mondo: terrificante». Bernard-Henri Lévy, noto filosofo e intellettuale francese, impegnato in politica nonché reporter, non ha dubbi sull'importanza del video appena uscito clandestinamente dall'Iran e di cui è venuto in possesso.

«Un documento straordinario» che riprende il presidente Mahmoud Ahmadinejad mentre arringa, con voce sommessa, una quindicina di religiosi iraniani in turbante bianco o nero, alla presenza del suo mentore, l'ayatollah oltranzista Mesbah Yazdi.


Nel video, oltre dieci minuti di audio e immagini scadenti, probabilmente filmato di nascosto con il telefonino da un partecipante, Ahmadinejad sussurra con voce e occhi bassi rivolgendosi ai «cari» invitati, seduti a un tavolo ingombro di fiori e microfoni. Dice di essere a Qom, la città santa sciita dove risiede e predica Mesbah Yazdi (e molti altri ayatollah anche dell'opposizione, come Ali Montazeri o Yousef Sanei). Ringrazia i presenti per i «servigi» offerti, dice che questi serviranno a preparare finalmente una «grande vittoria, perché i tempi sono propizi».


Ahmadinejad si dice in effetti certo che «la rivoluzione islamica ha ormai trovato la sua strada e un grande rivolgimento è iniziato: avrà dimensioni planetarie poiché il mondo ha sete di cultura musulmana, come diceva sempre l'Imam Khomeini». Il movimento, di cui lui si dice «solo uno dei partecipanti», ha una «forza immensa». «E se qualcuno pensa che l'organizzazione o le forze armate a nostra disposizione non siano sufficienti — continua Ahmadinejad sussurrando con aria ispirata — ebbene si sbaglia, poiché la logica comune non si applica a movimenti come questo, sostenuti dalla volontà e dalla misericordia divina».


Al di fuori e al di sopra di ogni « logica comune », il progetto "divino" d'slamizzazione radicale non ammette compromessi. Occorre quindi farsi straordinari e umili strumenti della Volontà dell’Onnipotente. «Bisogna mobilitare tutti i potenziali intellettuali e manager per realizzare la legge e la giustizia dell'Islam e instaurare una società sul modello islamico nella nostra cara patria», dice, convinto che lo spirito della Repubblica Islamica in Iran si sia perso, e che prima di esportare la rivoluzione nel mondo si debba far pulizia in casa.

mercoledì 24 giugno 2009

DIVIETO DI LICENZIAMENTO DELLE LAVORATRICI PER CAUSA DI MATRIMONIO

Oggi intendo trattare di una materia molto interessante, particolarmente in questo periodo di crisi economica, ossia il diritto del lavoro. Precisamente voglio soffermarmi su una normativa di notevole importanza che spesso viene trascurata dai datori di lavoro e dai lavoratori. Mi riferisco alla legge n. 7 del 1963.


L'articolo 1 della suddetta legge stabilisce che "le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte". La legge precisa che "si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio".


Questa norma è di fondamentale importanza, provvedendo a tutelare le lavoratrici che intendono contrarre matrimonio.


Al datore di lavoro la legge consente di "di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo di cui al terzo comma, è stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle ipotesi previste dalle lettere a), b), c) del secondo comma dell'art. 3 della legge 26 agosto 1950, n. 860". Queste tre ipotesi riguardano a) una colpa da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro (ad esempio il furto sul posto di lavoro); b) la cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta; oppure c) l'ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per scadenza del termine per il quale è stato stipulato.


Va precisato che la "giusta causa" è un concetto diverso dal cosidetto "giustificato motivo oggettivo". La "giusta causa" di licenziamento è un termine usato dal codice civile italiano (art. 2119 c.c.) per riferirsi ad un comportamento talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto neppure a titolo provvisorio (in sostanza: neppure per il tempo previsto per il preavviso di licenziamento). Tipico esempio di "giusta causa" è il furto di beni aziendali.


Il "giustificato motivo" (soggettivo) è un'ipotesi meno grave di inadempimento degli obblighi contrattuali, che giustifica il licenziamento ma con l'obbligo da parte del datore di lavoro di concedere il preavviso previsto (ovvero di pagarne il relativo ammontare). Ad esempio si può trattare di un abbandono ingiustificato del posto di lavoro.


Il "giustificato motivo" può essere anche oggettivo.  A volte, infatti,  il licenziamento è reso necessario da una riorganizzazione del lavoro, da ragioni relative all'attività produttiva (innovazioni tecnologiche, modifica dei cicli produttivi, ecc.), ovvero da una crisi aziendale. Nelle ipotesi, cioè, in cui l'azienda, per vari motivi, non ricava più utilità dal lavoro svolto da quel dipendente, o, in generale, da una categoria di dipendenti.


Applicando questi concetti alla legge n. 7 del 1963 della quale ci stiamo occupando, risulta evidente come il licenziamento per giustificato motivo, intimato dal datore di lavoro alla lavoratrice che ha già effettuato la richiesta delle pubblicazioni matrimoniali, sia radicalmente nullo. Infatti, come detto, il datore di lavoro può evitare la presunzione di nullità del licenziamento solo allorquando lo stesso sia dovuto ad una "giusta causa", ossia ad una ipotesi ben più grave di quella sottesa ad un "giustificato motivo".


L'articolo 2 della legge n. 7 del 1963 afferma, infine, che "la nullità dei licenziamenti di cui all'art. 1 importa la corresponsione, a favore della lavoratrice allontanata dal lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in servizio. La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere dal contratto, ha diritto al trattamento previsto per le dimissioni per giusta causa, ferma restando la corresponsione dellaretribuzione fino alla data del recesso".

martedì 16 giugno 2009

LA CORTE DI CASSAZIONE SUL DANNO DI NATURA PSICHICA

Segnalo questa interessante pronuncia della Corte di Cassazione in tema di danno non patrimoniale. La Suprema Corte con la sentenza n. 13530 del 19 maggio 2009 si è occupata dei criteri con i quali il giudice di merito aveva liquidato il danno non patrimoniale patito da una bambina, di 9 anni all’epoca dei fatti, per avere subìto ripetute violenze di tipo sessuale. In particolare sono stati affermati i seguenti 3 principi:


(a) il primo principio affermato è che il giudice di merito, pur dovendo liquidare in modo unitario ed omnicomprensivo il danno non patrimoniale, nella propria motivazione deve dare conto delle singole poste economiche di danno prese in considerazione, quali ad esempio il danno alla persona e la sofferenza morale da reato;
(b) il secondo principio è che la liquidazione del danno da reato non deve essere necessariamente una aliquota di quanto liquidato a titolo di danno biologico, ma può consistere in una somma maggiore o minore, a seconda dei casi, secondo la prudente valutazione del giudice;
(c) il terzo principio è che per stabilire la sussistenza di un valido nesso causale tra un fatto illecito “shockante” ed una conseguenze infermità psichica non è necessario accertare che, senza l’illecito, l’infermità non si sarebbe prodotta con assoluta certezza, ma è sufficiente potere ritenere che, in assenza del primo, la seconda non si sarebbe verificata con ragionevole probabilità.